AMBIENTE

Città intelligenti

Mentre si desorienta lo spirito critico della gente con luci e rumori e si disperdono con il business le nascenti riprese di democrazia, si celebra a Barcellona il congresso delle Smarts Cities, città innovative in ambito ambientale.
Gisella Evangelista (antropologa, scrittrice)

Siamo in pieno inverno, con il freddo che di notte taglia il viso. Grazie alle ultime misure di austerità, sono state tagliati gli orari delle sale operatorie, in Cataluña migliaia di disoccupati hanno perso il diritto alla mutua (ma la salute non era un diritto umano universale?) e la disoccupazione è in aumento. L’Himalaya perde due metri di ghiaccio al giorno e le Ande hanno già perso gran parte dei loro ghiacciai. Ma che importa? Qui si può passeggiare in un giorno d’inverno con la temperatura di 17 gradi, su una pista di pattinaggio di 1200 mq prodotta con un potente sistema di refrigerazione che produce ghiaccio artificiale. Così i cittadini, depressi da crisi personali o collettive, potranno scivolare sentendosi finalmente ricchi, moderni e felici. Insomma: “Pattinare contro la depressione”, intitola un giornale locale. Ma non ci sono già chilometri di lungomare dove si può passeggiare al sole? Certo, ma lì passeggiare è gratis e i commercianti non possono farsi pagare, come sulla pista di ghiaccio, 8 euro all’ora, regalando buoni di pattinaggio solo a chi ha fatto compere in centro.

Bagno di democrazia
Con un’altra mossa geniale, la pista di ghiaccio è stata installata proprio nel cuore della città, quella stessa piazza Cataluña dove, per alcune tiepide settimane di primavera, migliaia di persone avevano scoperto, spegnendo la tv, che potevano esprimersi, sfogarsi, riflettere e fare proposte su temi abitualmente maneggiati in forma opaca da alcuni politici, ma che interessano la vita di tutti. Fu un originale bagno di democrazia, che valicò in pochi mesi le frontiere nazionali, arrivò fino a Bruxelles e dopo fino a Wall Street, raccogliendo nel cammino il sentire di milioni di abitanti del pianeta, che hanno detto di no all’eccessivo potere della finanza e hanno chiesto più trasparenza ed equità nella vita pubblica, oltre che maggior attenzione al problema ambientale. Forse per cancellare questi pericolosi ricordi di democrazia diretta, in piazza Cataluña sono stati piantati alberelli di plastica con luci colorate, che fanno da sfondo ai getti d’acqua delle fontane, per i sorrisi in serie dei giapponesi. Con un chiaro messaggio subliminale: qui non è successo e non succederà niente di strano, adesso abbiamo un governo con una solida maggioranza, che da un momento all’altro tirerà fuori dalla manica la ricetta magica per risolvere l’equazione “Austerità più Crescita”, mentre l’Unione Europea fa acrobazie per non far cadere l’euro ed evitare la sua divisione. Quale la ricetta? Licenziamenti, e ancora licenziamenti. Evviva!

Smart City
Pista di ghiaccio a parte, Barcellona, fra il 29 novembre e il 2 dicembre, è stata anfitriona dello Smart City Expo & World Congress, un congresso mondiale di “città intelligenti”, cui erano presenti delegazioni di 51 città dei 5 continenti. Si definiscono intelligenti (smart) le città che sanno ottimizzare i costi integrando e migliorando i servizi e diminuendo drasticamente le emissioni di carbonio. Una necessità imperiosa in quanto si prevede che la temperatura del pianeta potrà aumentare entro, la fine del secolo, da 1,8 a 4 gradi (il punto di non ritorno) e sono sotto gli occhi di tutti i disastri che già si stanno verificando a causa del cambiamento climatico, come piogge torrenziali o siccità spietate. Oggi vive in città il 50 % della popolazione mondiale, ma nel 2050, secondo le Nazioni Unite, lo farà il 70% dei 9000 milioni di abitanti che popoleranno il pianeta. I consumi di energia saranno raddoppiati, proprio quando, secondo il Protocollo di Kyoto, le emissioni globali di CO2 dovranno essere ridotte di un 50%. È evidente che dovranno essere le città a mettere in atto il cambiamento in campo energetico, per poter consegnare alle generazioni future un pianeta ancora vivibile. E il tempo stringe. Eppure, sono stati scarsi i risultati della diciassettesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Durban, Sudafrica): alla fine, si è solamente stabilita un’agenda per preparare un trattato legalmente vincolante sulla riduzione di emissioni, che dovrà essere firmato nel 2015 per entrare in vigore nel 2020. All’accordo si sono aggiunte per fortuna le firme di India, Cina e Stati Uniti.
Sono ripartite deluse le decine di organizzazioni africane di donne contadine, le organizzazioni giovanili e i sindacati che a Durban chiedevano giustizia climatica “per tutti e per sempre”. Fra i 1500 milioni di poveri che vivono nel mondo con meno di un dollaro al giorno, il 70% sono donne, ed essendo le principali produttrici di alimenti nelle economie di sussistenza, sono le più colpite quando la siccità rende più scarsa la legna o l’acqua, ossia devono percorrere tratti più lunghi per cercarle, e per questo le bambine smettono di andare a scuola. Anche quando le inondazioni fanno aumentare le malattie per la cattiva qualità dell’acqua, sono le donne che devono badare ai malati e, durante le carestie, in certi Paesi ritorna in vigore il matrimonio precoce delle bambine, perché almeno possano mangiare. Gli studi delle Nazioni Unite da qualche anno segnalano come il cambiamento climatico acuisce le disuguaglianze di genere esistenti, con effetti nefasti sulla qualità della vita di bambine e delle donne povere.
Tuttavia è stata una donna, la celebre fisica ed economista Vandana Shiva, tra i primi a denunciare il peggioramento delle condizioni di vita delle donne del Sud del mondo, da quando uno sviluppo escludente, come la “rivoluzione verde”, privilegia l’agricultura tecnificata e contaminante delle grandi piantagioni, che contrasta e a volte assorbe l’agricoltura di sussistenza praticata dalle donne (che adesso sarebbe definita “biologica”). Ma Vandana Shiva non si è limitata a criticare una globalizzazione che concentra risorse e ricchezza e aumenta la povertà, ma è riuscita anche a mobilitare milioni di contadini indiani contro le tariffe commerciali internazionali promosse dal GATT, ha fondato un movimento sociale di donne (Navdaya) per proteggere la varietà di semi contro la loro manipolazione da parte delle multinazionali; con il movimento “Abbraccia un albero”, riuscì a fermare la deforestazione di un’ampia area dell Himalaya, e con la campagna Laxmi Mukti, ha promosso l’accesso delle donne alla proprietà della terra.
Benvenute, quindi, tutte le iniziative di cittadini e cittadine coscienti, che puntano a un risparmio energetico e un uso più razionale delle risorse.
Non è solo un sogno: le soluzioni tecnologiche esistono, si tratta solo di applicarle, diffonderle e di continuare a cercare soluzioni sempre più efficaci. Entro il 2019, secondo una legge approvata dal Parlamento europeo nel 2010, gli edifici del continente dovranno compensare l’energia che consumano con energie rinnovabili, ossia diventare autosufficienti. Con la strategia “Europa 2020”, la UE si propone di raggiungere il famoso 20-20-20, ossia per l’anno 2020 contare con il 20% di peso delle energie rinnovabili, il 20% della riduzione delle emissioni di CO2, e il 20% del miglioramento dell’efficienza energetica.
Ci sono sintomi di risveglio nelle città statunitensi ed europee, al di là del famoso caso di Samso, l’isola danese già autosufficiente energeticamente. Londra, spesso affogata nel fog (nebbia più smog), vuole ridurre le sue emissioni del 60% nel 2025, Copenaghen vuole azzerare le sue emissioni nel 2025, e ancora più ambiziosa, Monaco vuole che tutte le sue necessità energetiche siano soddisfatte con energie rinnovabili nel 2014.
In un modo o nell’altro, è sempre più chiaro che si deve cambiare mentalità. Ormai non si può continuare con un modello economico basato su consumi illimitati di acqua, legname, petrolio, gas o carbone, per produrre beni superflui da consumare nei Paesi del Nord o dalle elìtes del Sud. Se finora, il puro interesse ha gettato nel caos le economie occidentali e ha condotto il mondo al disastro ambientale, non sarà l’ora che più luci illuminino il crudo inverno dell’economia? Ma stavolta, che siano luci intelligenti, creative e sostenibili, signore e signori.
Il pianeta, le contadine africane, le isole che affondano lentamente nel Pacifico, i popoli andini e amazzonici che lottano contro i giganti minerari per mantenere puliti i loro fiumi e le loro lagune ce lo chiedono vivamente.

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