DONNE

Maestrine

Che fine hanno fatto le donne in politica? Non solo al governo ma anche altrove, ovunque, per esprimere idee e rilanciare contenuti. Riapriamo un dibattito serio, a partire dalla neutralità del diritto.
Giancarla Codrignani

Veramente c’è da restare interdette: da un lato la Cassazione ha mandato ai domiciliari gli autori di uno stupro di gruppo ai danni di una minorenne, dall’altro la ministra Fornero, già gratificata dal collega di governo sottosegretario Gianfranco Polillo di essere “l’icona di una fontana piangente”, è stata bollata da un Bonanni-Cisl con il termine “maestrina”.
Le contraddizioni non mancano. Una pietosa avvocata “donna” giudica che minori non ancora passati in giudizio non debbono essere imprigionati, mentre il punto dolente della sentenza sta nel ritenere che lo stupro di gruppo non è equivalente allo stupro individuale: se per i giudici si tratta di un reato indifferenziato, per le donne è come dire che la strage è uguale all’omicidio. Invece è un uomo, Pierluigi Battista, ad attaccare Bonanni sul Corriere: “Non avrebbe mai dato dei maestrini a Monti o a Polillo” e a sostenere che “la critica di genere non rientra negli argomenti decentemente sostenibili... cose da maestrini che si impancano a depositari della ragione emotiva... senza capire che la delegittimazione sottile, impastata di sottintesi e luoghi comuni, come se la politica fosse cosa da uomini addestrati e non da donne che si ‘agitano’ sottrae qualcosa agli stessi sessisti impenitenti”.
Da specialista del mondo politico, so bene che le contraddizioni esistono anche nei generi. Tuttavia noto che, a lato di fatti marginali, poche donne stanno intervenendo in questa politica desolatamente neutralizzata, come se le presenza dei “tecnici” avesse impedito di far circolare idee.
Le difficoltà, infatti, non sono una buona ragione per non intervenire nel merito di quanto sta avvenendo in questa, per la prima volta, “Italia europea”. Le donne sono protagoniste quando fanno la parte degli uomini (Christine Lagarde, Angela Merkel, Elsa Fornero) anche perché, ovviamente, sono brave. Ma ci sono donne che lasciano il lavoro perché passerebbero lo stipendio già esiguo e malsicuro a una badante; mogli di cassintegrati e licenziati che, oltre a cercare di sbarcare il lunario, scontano la depressione dei mariti; immigrate che stanno al fondo delle catene di sfruttamento, comprese quelle interne ai loro gruppi. Davvero non abbiamo prodotto effetti, se è vero che non sono cambiati neppure i moduli pubblicitari di Sanremo, ancora una volta offensivi della persona femminile e, solo a giudizio di noi donne – sembra –, miserevoli per la figura che fanno i maschi.
Ma, anche se non riusciamo a cambiare né sovrastruttura né struttura, non possiamo transitare all’antipolitica. Se ci sono difficoltà che impongono – e imporranno – cambiamenti e sacrifici, prima di scendere a proteste e manifestazioni, cerchiamo di fare un’analisi possibilmente lucida del presente e, soprattutto, rendiamoci conto che i partiti debbono riprendere la loro funzione (non siamo in condizione di fare “democrazia diretta” mentre la società civile sta sbandando come quella dei politici). Paradossalmente per noi la via è più accessibile quando anche loro sono al palo: avanti dunque con le proposte. Siamo il soggetto sociale più flessibile anche se nessuno ci ha mai chiesto di offrire competenze: possibile che non possiamo chiedere di regolamentare gli orari (nell’era informatica!), di intervenire a stabilire priorità di interessi di genere, dalle normative sulle “badanti” ai servizi sociali delle libere convivenze o ai diritti delle famiglie immigrate (a partire dai diritti di cittadinanza). O a riordinare la materia della violenza di genere imponendo la legittimazione dei “centri antiviolenza” come servizio pubblico. Sia a livello locale, sia in sede nazionale otterremo ascolto se la voce che esprimiamo sarà propositiva. Ognuna nelle case politiche che ritiene più vivibili. Ma quelle case non possono restare senza donne che progettano da donne.

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