Quando un giudice fa il proprio dovere
Già qualche giorno fa (29 febbraio) affidavo a Mosaico dei giorni una riflessione sull’importanza di ritrovare il coraggio del dialogo sulla vertenza dell’alta velocità in Val di Susa. La chiusura di spazi di confronto sereno è a tutto vantaggio degli infiltrati che intendono solo nuotare nel fango della confusione, della contrapposizione e della violenza. Per questo duole particolarmente leggere le frasi ingiuriose e minacciose scritte sui muri contro il procuratore Caselli. Rimproverare a un giudice di fare il proprio dovere significa tagliare un pezzo del ramo su cui è seduta la nostra democrazia. Minacciare quel giudice è sintomo preoccupante della degenerazione in atto. E non si tratta né delle madri, né degli anziani che abitano i paesi della valle, né dei giovani di tante parti d’Italia che hanno compreso che la posta in palio in Val di Susa è più ampia di un solo traforo. La vigliaccheria che tenta di sporcare l’integrità di Giancarlo Caselli è figlia di un’altra cultura. Mafiosa, stragista e violenta. Esattamente dirimpettaia del terreno buono della partecipazione. Con quel magistrato abbiamo imparato a camminare sulle strade della legalità democratica e non sarà certamente il fanatismo violento, l’infiltrazione stragista, il terrorismo d’ogni colore a fermare il passo che crede nella nonviolenza e nella Costituzione.