Un Paese per donne
Lette le storie di vita, ovviamente prevedibili, le proposte sono venute a grappoli insieme con spezzoni di analisi e riletture di dati economici. La tematica del lavoro, che non era mai stata al centro del “veterofemminismo” mostra tutta la sua importanza proprio nel tempo in cui la “grande crisi” sta stravolgendo il concetto stesso di lavoro.
Le strategie dell’UE hanno sempre dato rilievo alla problematica di genere ponendo traguardi alla crescita occupazionale e al Pil, prima entro il 2010, poi il 2020: oggi, in molti Paesi si perdono posti, crescono disoccupazione e sottoccupazione, sono in caduta libera i servizi alla famiglia, nidi e asili, figurarsi il mainstreaming.
Diventa difficile parlare di Pink New Deal. Infatti, tutte le questioni – recuperare la disoccupazione femminile, tenere il posto nella contrattazione, sostenere la domanda, promuovere la conciliazione (eventualmente anche delle nonne costrette a restare al lavoro dopo la riforma pensionistica), sostenere il part-time, le “buone prassi”, il lavoro di cura, le case per le donne maltrattate, i congedi di paternità, l’agricoltura, il telelavoro... – comportano finanziamenti la cui disponibilità non è facile da suggerire al governo, fatte salve le auto blu, gli F35, la patrimoniale.
Antonella Picchio ritiene che sia necessario rifare un punto teorico, perché “l’individuo non è mai neutrale e il lavoro è anche relazioni di potere”: occorre per questo fare nuove analisi strutturali del sistema se è vero che le imprese non hanno nessuna voglia di assumersi la responsabilità della lavoratrice e l’asse dei diritti si è spostata sulla redistribuzione dei redditi e l’abbassamento delle condizione di vita delle lavoratrici (costano troppo la troppa sicurezza e la maternità). Inoltre resta, all’interno, il doppio intreccio tra classe e sesso che non si può più separare. Già le donne lavorano di più. Dovrebbero invece studiare di più il capitale del loro lavoro di cura. E sfatare tre miti: il liberismo che ottimizza le risorse; le donne che sarebbero impotenti; l’ambiguità della catena delle responsabilità.
Grande interesse, ragionare serio, lavori di gruppo aperti a soluzioni. Per tutte – nomi conosciuti e, fortunatamente, nuovi – è grande l’impegno “verso noi stesse e l’umanità”; ma la domanda da rinviare a Milano è “è possibile welfare senza diritti di cittadinanza?”.