Cambiare il sistema

Estinguere il debito ecologico e climatico: radicalità e utopia?
Fabrina Furtado (Jubileo Sur America Latina )

Il 16 dicembre 2009, nell’ambito della 15a Conferenza delle parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), mentre i governi si interessavano ai processi che permettono la compravendita delle risorse naturali, accogliendo solo superficialmente le critiche, per trarre vantaggio della crisi climatica, 3000 persone hanno marciato fuori dal luogo della conferenza per dire basta! La metodologia era chiara: disobbedienza civile per indicare un punto irrinunciabile: ciò che bisogna cambiare è il sistema non il clima. Situazioni simili si sono ripetute a Cancun durante la COP-16 e a Durban per il COP-17. Un ventaglio variopinto di persone, movimenti, Paesi e strategie d’azione, che esprimono in modo creativo e unito da una parte il no alla vendita dei beni della natura e delle persone e dall’altro il tentativo di evitare che le alternative possibili escano dall’agenda politica o vengano negate. Un’alternativa possibile è ripagare il debito ecologico e climatico.
Molti sostengono che questa via sia radicale e utopica. La situazione attuale mostra che i governanti hanno interesse a mantenere il nostro pianeta a una temperatura che porti come conseguenza la distruzione dell’umanità come la conosciamo oggi. Ciò di cui abbiamo bisogno non è proprio un cambiamento radicale e una visione utopica? Come diceva Marx, essere radicali è andare alla radice del problema e la radice dei problemi della società sono gli uomini e le donne che la formano. L’impegno per ripagare i debiti climatici è un modo per cambiare il sistema.

Debito ecologico
Sin dall’epoca coloniale, i Paesi del Nord, attraverso i loro governi, corporazioni e istituzioni finanziarie, hanno sfruttato la ricchezza dei Paesi del Sud del mondo e il lavoro dei loro abitanti. La ricchezza del Nord è stata costruita a partire dallo sfruttamento e dall’oppressione dei popoli del Sud, la schiavitù, l’estrazione di minerali e idrocarburi, il furto della biodiversità e delle conoscenze tradizionali, consolidando il potere economico, industriale e militare del Nord. Con l’avvento della globalizzazione neoliberista, l’uso e l’abuso delle persone e della natura è aumentato, attraverso i meccanismi di oppressione e controllo, come il debito, il commercio, la sottomissione culturale e l’uso della forza.
Il debito ecologico è un concetto capace di offrire un’analisi dettagliata e critica della relazione fra l’aspetto sociale e quello ambientale e di determinare la distribuzione storica e attuale della crisi ecologica. Questo significa discutere di ambiente in termini non solo di conservazione e sostenibilità, per considerare anche il diritto e la giustizia. Tale concetto offre strumenti per superare i danni ambientali, per garantire la riparazione del debito e per punire i responsabili. Dà, inoltre, nuovi argomenti per esigere la cancellazione del debito finanziario illegittimo. L’idea di riparazione cerca di cambiare il contesto del dialogo e le relazioni fra gli Stati.

Debito climatico
Il debito ecologico ha due dimensioni principali: da una parte la distruzione ecologica e le ingiustizie ambientali che si producono all’interno di un Paese come risultato dell’intervento di altri Paesi del Nord, aziende e istituzioni finanziarie internazionali. Dall’altra, l’appropriazione e lo sfruttamento squilibrato della capacità di assorbimento dello spazio comune. Il cambiamento climatico è in stretta relazione con queste due dimensioni.
Riguardo alla prima dimensione, la crescita basata su esportazioni e sulla promozione di industrie dell’estrazione e inquinanti per assicurare il trasferimento delle risorse naturali dal Sud al Nord, ha prodotto emissioni di gas serra, deforestazione e altri elementi di impatto ambientale. Su scala mondiale, dato che il Nord è cresciuto grazie alla produzione e al consumo dei combustibili fossili, si è appropriato del bene comune globale – l’atmosfera e gli oceani – e ha prodotto un impatto sulla capacità della bioesfera di assorbire il carbonio. Questo è il debito climatico.
Il debito climatico si sta imponendo come la base per determinare la divisione giusta ed equa dei doveri e delle responsabilità all’interno della UNFCCC. Con la leadership del governo boliviano, un numero crescente di governi del Sud ha riproposto la discussione del debito climatico e della domanda ad esso relativa. È compatibile con la nozione di responsabilità storica, un principio della UNFCCC, che i Paesi del Nord continuano a minimizzare, ignorare o rifiutare, che offre un approccio sistematico per classificare, quantificare e applicare la responsabilità storica e chiedere l’estinzione del debito.
Questo concetto consta di due componenti fondamentali: emissione e adattamento. Il debito delle emissioni si riferisce all’uso eccessivo e a una riduzione significativa della capacità del pianeta di assorbire gas serra. Si basa sul principio che tutte le persone hanno uguale diritto a godere dello spazio atmosferico. Estinguere il debito, per riflettere il contributo attuale e storico del Nord, deve essere principalmente attraverso tagli profondi sulle emissioni nazionali. Questo vuol dire che le emissioni devono essere negative per arrivare a livelli sostenibili per il pianeta e per compensare i consumi che storicamente sono stati maggiori al Nord rispetto al Sud. Il debito di adattamento si deve agli effetti negativi di queste emissioni come l’intensificazione dei disastri ecologici, danni alla produzione agricola, minacce ai mezzi di sussistenza tradizionali, problemi di salute: in sostanza la violazione del benessere dei popoli del Sud. Per questo, la riparazione del debito deve compensare almeno un minimo (dato che è impossibile farlo per intero) i popoli del Sud per le conseguenze dal punto di vista ambientale sul passato, sul presente e sul futuro; inoltre, deve assicurare il finanziamento e la tecnologia per prevenire ulteriori disastri.

Trasformazioni
Un’altra soluzione proposta è il trasferimento di risorse verso i Paesi del Sud e far cessare lo sfruttamento dei combustibili fossili e di altre industrie estrattive per avanzare verso una società non più basata sui combustibili fossili. Soprattutto bisognerebbe porre fine alle operazioni politiche e ai programmi che continuano a violare i diritti della natura e dei popoli, il che significa una profonda trasformazione del sistema capitalista.
Eppure, le negoziazioni sul clima hanno dimostrato chiaramente che la maggior parte dei governi, oltre a ridurre il concetto di debito climatico a una questione di colpevolezza o di strategia dei governi del Sud, con l’obiettivo di non assumersi le proprie responsabilità, non stanno nemmeno iniziando ad affrontare le cause strutturali del cambiamento climatico. L’obiettivo è di trasferire la responsabilità verso il Sud e garantire l’appoggio a false soluzioni come il commercio del carbonio. Questo è perché viviamo in un’epoca in cui la natura è più che mai al centro dei conflitti sociali. La grande questione ora è capire chi controlla le risorse naturali, come le gestisce e con quale finalità.
Va ricordato che il sistema si mantiene grazie alla diffusione di una determinata visione del mondo. È predominante un “pensiero comune” in cui la natura è uno spazio subalterno che deve essere esplorato e ripensato in funzione del concetto di “sviluppo”, il che vuol dire la necessità di dare valore al capitale. Ora ci chiedono di credere che operare questa esplorazione e questo ripensamento in un modo sostenibile sia possibile all’interno di un sistema capitalista “verde”, solo correggendo alcune falle, controllando alcuni eccessi e riformando le sue istituzioni.
Perciò abbiamo molte sfide davanti. Sebbene siamo convinti del fatto che il Nord sia il principale responsabile dello sfruttamento storico e attuale delle risorse naturali e della violazione dei diritti, insistiamo sulla necessità di proseguire i nostri sforzi per cambiare i nostri governi. Esigere che ripaghino il debito ecologico non può significare dare carta bianca ai governi e alle élite del Sud. Bisogna garantire che i cambiamenti opportuni contribuiscano a una trasformazione radicale del sistema nella sua totalità per dare beneficio ai Paesi del Nord e del Sud.
Infine, bisogna cercare di andare alla radice del problema e fare in modo che le persone che la pensano in modo differente non si sentano isolate o condannate. Bisogna rendere vani i tentativi di immobilizzare, annacquare e depoliticizzare questa lotta. Rinnovare la nostra capacità critica e le nostre pratiche. Per rendere possibile ciò che sembra apparentemente impossibile, sconfiggere il sistema capitalista, dobbiamo intraprendere la battaglia più grande: sconfiggere l’idea che non esiste un’alternativa possibile. Perché non essere radicali e utopici? Da dove il cambiamento se non dall’utopia e dalla radicalità?

Traduzione a cura di Tomaso Zanda

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