Il futuro del pianeta

Alla vigilia dell’appuntamento di Rio+20 sulle politiche ambientali, parliamo di economia verde, responsabilità dei grandi, alternative possibili.
E movimenti globali che, dal basso, chiedono maggior attenzione per l’ambiente.
Francesco Martone

Tra pochi mesi si svolgerà la conferenza Rio+20, che farà il punto sugli sforzi e le iniziative della comunità internazionale nell’attuazione delle politiche ambientali dalla Conferenza ONU sullo Sviluppo Sostenibile, tenutasi nella città brasiliana nel 1992. Allora la speranza era che il dividendo di pace generato dalla fine della guerra fredda potesse assicurare un futuro migliore per l’umanità.
Così non è stato, e quella speranza è degenerata nella crisi triplice (climatica, economica e finanziaria) causata dal prevalere del modello neoliberista e di mercato. Già venti anni fa Rio aveva suggellato il ruolo chiave del settore privato nello sviluppo sostenibile. Dieci anni dopo, alla Conferenza di Johannesburg vennero lanciati i partenariati pubblico-privato per il perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, nei fatti un’opportunità per le imprese di accedere a settori quali l’acqua, la salute, l’educazione.
A Rio+20 si potrebbe assistere, in nome della “Green Economy”, alla promozione di strumenti finanziari per l’ambiente, di derivati verdi, modelli di commercio globale di permessi di emissione, di tutela della biodiversità, di privatizzazione ulteriore dei beni comuni. Per sottolineare le responsabilità delle imprese, abbiamo scelto di proporre il caso dell’impresa Thyssen Krupp, nella baia di Rio de Janeiro, presentato al Tribunale Permanente dei Popoli. Un caso eclatante di debito ecologico verso le comunità locali, proprio nella città dove si svolgerà la Conferenza, il caso di un’impresa che in Italia si è macchiata di un crimine nei confronti dei suoi operai, scolpito nella nostra memoria collettiva.
Venti anni fa a Rio si consolidava anche il primo embrione di movimento globale (quello che poi venne ribattezzato Popoli di Seattle, movimento no-global, oggi Indignados, o Occupy), riunitosi nel Global Forum e che avrebbe prodotto proposte alternative fondate sulla giustizia ambientale e il debito ecologico. In Italia era attiva, grazie alla grande intuizione del compianto Alex Langer, la Campagna Nord-Sud, Sopravvivenza dei Popoli, Biosfera, Debito, una rete nazionale e internazionale di movimenti, ONG e realtà impegnate nei temi dello sviluppo, i diritti dei popoli, l’ambiente. Da allora, proprio l’America Latina è diventata laboratorio di approcci alternativi che mettessero in pratica il concetto di debito ecologico, e lo articolassero attraverso i principi del diritto, (ad esempio i diritti della Madre Terra) e la “buona vita” o “Buen Vivir”, recepiti nelle Costituzioni di Ecuador e Bolivia. Sia in America Latina che in Asia, i movimenti che si occupavano di debito estero, quali la campagna Jubilee South, hanno abbracciato i temi del debito ecologico e della giustizia climatica, consci dell’urgenza di affrontare in maniera radicale gli effetti devastanti della triplice crisi, rifondare sui temi ambientali e dei beni comuni, la domanda che da sempre si poneva chi chiedeva la cancellazione del debito dei Paesi in Via di Sviluppo: “quien debe a quien? Chi deve a chi”?.
Saranno proprio questi i pilastri intorno ai quali si muoveranno le iniziative dei movimenti sociali globali a Rio: beni comuni, giustizia climatica, restituzione del debito ecologico sullo sfondo di una crisi che può, paradossalmente, aprire la strada a un futuro migliore, costruito dal basso, con pratiche e proposte fondate sulla giustizia e l’equità, sui diritti e sul diritto dei popoli e della natura.

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