Quel “criminale” di mio padre
È il titolo del libro di Antonio Perucati. “È una storia molto particolare – spiega l’autore - che ha come protagonista, Eugenio Perucati, mio padre che avrei amato anche se non fossi stato suo figlio per la nobile vocazione di volere, a tutti i costi, fare del bene ad una popolazione spesso dimenticata: quella dei detenuti che ancora oggi, per un motivo o per un altro, sconta le sue pene in condizioni disumane e non rieducative, a dispetto di quanto voluto fortemente dai Padri fondatori della nostra Costituzione”. Nel 1952 Eugenio Perucati viene nominato direttore dell’isola-carcere di Santo Stefano di Ventotene che Settembrini definiva “la tomba dei vivi”. Contravvenendo alle regole, lascia aperte celle e portoni perché i detenuti possano lavorare e circolare liberamente sull’isola. Un trattamento non punitivo nei confronti di uomini che avevano perso tutto. Il tentativo di stabilire una relazione umana con quelli che spesso siamo portati a definire bestie. Ed è una scommessa che può essere vinta. Con un vantaggio per tutti. Perché ancora oggi la latitanza peggiore è proprio quella della rieducazione.