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In mezzo alla tempesta

La triste storia dei Piccoli Fratelli del Vangelo in Argentina fra il 1959 e il 1977. La comunità venne spazzata via dal Paese. Un libro pieno di lacrime, scritto dai superstiti, ci riconsegna i volti, le parole, le vite di quei cristiani travolti dalla dittatura perché avevano deciso di stare dalla parte dei poveri.
Francesco Comina

L’ultimo a sparire fu Mauricio Silva. Divorato. Inghiottito. Perso per sempre. Era il 14 giugno del 1977 e la comunità dei Piccoli Fratelli del Vangelo finì la sua breve storia argentina, nata nel 1959 sulla spinta di Arturo Paoli. Ora, grazie all’amore e alla passione dei sopravvissuti, possiamo rileggerla nel libro, pieno di lacrime, curato da Patricio Rice e Luis Torres, In mezzo alla tempesta (editrice La Collina).
In Argentina c’era solo l’inferno. Migliaia di giovani, sindacalisti, militanti, pacifisti, contadini, operai, poveri, sacerdoti illuminati dalla fede nel Dio della liberazione, vennero ricoperti dal cemento dell’odio, della persecuzione. E non si seppe più nulla. Le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano a gridare i loro nomi. Una resurrezione della memoria è esplosa coraggiosa e tenace, scalzando il mostro tentacolare della dittatura. Il generale Jorge Videla è in carcere dove continua incessantemente a dire: “Era giusto così”, a ridicolizzare sui numeri degli scomparsi e a dire che lui con la Chiesa aveva un rapporto ottimo e cordiale: “La Chiesa espletò il suo dovere – ha dichiarato alla rivista spagnola “Cambio 16” – e fu prudente”. E aggiunge: “In generale la Chiesa argentina non si fece compromettere dalla tendenza terzomondista e di sinistra, politicizzata attraverso un collegamento con le altre Chiese del continente. Nessun membro della Chiesa entrò in questo gioco se non una parte minoritaria e non rappresentativa”.
Le ferite non si sono affatto ricucite. La rabbia e lo scandalo per il banchetto dell’orrore e della ferocia che si è celebrato dalla metà degli anni Settanta fino alla metà degli anni Ottanta (non ci sono date precise nell’elegia del terrore argentino) sono vive oggi più di ieri. I poveri sono stati massacrati dalla furia disumana dei gruppi militari e paramilitari, mentre i ricchi giravano il mestolo. La Chiesa si è divisa: quella povera ha lottato con i poveri, quella ricca ha chiuso gli occhi e, in varie situazioni, ha aiutato il mostro a cuocere lo spezzatino con la carne dei “resistenti”. Denuncia il premio Nobel Adolfo Perez Esquivel, cattolico vicino ai Piccoli Fratelli, militante per i diritti umani, torturato e incarcerato nei famigerati “tubi”, celle piccolissime con una finestrella per controllare i prigionieri: “Abbiamo lavorato con diversi vescovi, Zazpe, De Nevares, Devoto, Novak, Hesayne, religiosi e religiose, tanti di loro uccisi dalla dittatura e tanti che hanno tradito il popolo e il Vangelo. Monsignor Tortolo giustificava la tortura in tutti i modi, tranne la “picana elettrica”, ossia le pinze elettriche attaccate ai corpi delle vittime da cui partivano le scariche fatali”. Esquivel racconta di cappellani militari pronti a benedire i voli della morte.
Uno scandalo di Dio, un peccato cosmico, una devastazione della religione aggrappata al potere politico e militare (quanti silenzi circondano ancora il ruolo e la presenza della Chiesa durante l’epoca delle dittature latinoamericane!), una guerra aperta contro il Vangelo della pace e della giustizia.
Mauricio Silva, quel giorno si recò al lavoro alle 5 e 30 del mattino. Aveva scelto di condividere la vita dei netturbini di Buenos Aires. Prima di uscire da casa, aveva pregato sulla Lettera di San Paolo a Filemone. Poi salutò i fratelli. La paura era oramai compagna di viaggio, ma le autorità ecclesiastiche avevano dato ampie rassicurazioni: “I militari si sono impegnati a non toccare più i religiosi” disse a Mauricio una settimana prima del suo sequestro Kevin Mullen, il segretario del nunzio apostolico Pio Laghi. E il cardinale Aramburu aveva confermato tutte le garanzie.
Ma quel giorno fu l’ultimo giorno per Mauricio Silva e per i Piccoli Fratelli del Vangelo in Argentina. Pare che l’abbiano portato a Campo de Mayo e lì torturato. È probabile che sia finito su un volo della morte. A Joāo Cara, responsabile regionale della Fraternità latinoamericana, il vescovo ausiliare di Buenos Aires, alcuni giorni dopo il sequestro di Mauricio, disse queste insulse parole: “Rimanga tranquillo. Sono informato personalmente del fatto che adesso i militari non torturano più nessuno. La cosa peggiore che gli possono fare è una iniezione di Pentotal (un siero chiamato della verità)”. L’iniezione di Pentotal era il viatico per cadere dritti dritti dall’aereo nel Rio della Plata o nel Riachuelo. Questo era il vanto di una dittatura che amava definirsi cristiana.

I volti, le storie
Nel mare torbido di quegli anni i piccoli fratelli, le piccole sorelle, i laici che avevano aderito alla fraternità, tennero duro. Hanno resistito con le unghie e con il sangue per fedeltà a Gesù, simbolo di tutti i resistenti e di tutti gli oppressi della storia. Hanno scritto una nuova pagina del Vangelo.
I volti e le storie sono tante. I sopravvissuti ricordano tutto. Il fratello irlandese Patricio Rice ha dovuto ripulire la psiche e respirare l’aria fresca dell’Inghilterra per superare lo shock delle torture subite insieme a Fatima Cabrera, che allora aveva solo 18 anni. Furono bastonati, percossi, tenuti legati alle pareti, violentati e infine bruciati con le scariche elettriche. La pressione dell’ambasciata irlandese e le denunce di Amnesty International impedirono agli orchi di perpetrare il male fino al culmine del disgusto. Patricio fuggì, venne curato e si rimise in piedi. Fatima dovette rimanere ancora due anni agli arresti domiciliari. Nell’84 ci fu il trionfo dell’amore. Fatima e Patricio si sposarono ed ebbero tre figli.
Non tornò mai più a casa Nelly Sosa de Forti a cui Arturo Paoli dedica una delle pagine più belle del libro. Nelly si dichiarava atea. Non sopportava di dire Dio, icona fasulla, divinità celebrata e onorata sull’altare del mattatoio e della spietatezza. Preferiva il Nulla: “Da questo abisso del nulla – scrive Paoli – venne inghiottita Nelly, in solidarietà con tutte le vittime scomparse come lei in quel grande abisso (..) Coloro che hanno fatto sparire Nelly, come altre migliaia di esseri, hanno raggiunto l’ultima frontiera della barbarie e sono gli ultimi frutti avvelenati della triste pianta che si chiama ‘civilizzazione’ occidentale e cristiana. Questa scomparsa nel nulla fu un epilogo così coerente della partenza di Nelly che non posso tralasciarvi di vedere un segno della Provvidenza, che si serve dei fatti nefasti per squarciare il mistero della presenza fra noi. La storia è fatta veramente dagli ultimi, attraverso le loro sconfitte, il loro scomparire”.
Arturo era il padre di quella comunità, il punto di riferimento. Dovette fuggire in Venezuela nel 1974 perché aveva i militari alle calcagna: “Il nome di Arturo – ricorda un’altra protagonista Alda D’Alessandro – apparve sui cartelloni affissi nelle vie pubbliche al secondo posto in una lista di ricercati nella quale monsignor Angelelli era primo. Arturo partì per il Venezuela e i Piccoli Fratelli gli consigliarono di non tornare”. Il vescovo Angelelli, amico fraterno e collaboratore di Arturo Paoli, venne assassinato in un incidente simulato il 4 agosto del 1976.
La lista dei desapercidos è lunghissima. Furono 30.000. Ogni volto è un sacrario. Ognuno merita un libro. In mezzo alla tempesta ci riporta in vita i cristiani che non vollero restare muti, ma gridarono lo scandalo della brutalità con la voce di tutti gli oppressi. Come insegnava il beato Charles de Foucauld: “Non possiamo essere dei cani muti, sentinelle addormentate, o pastori indifferenti; dobbiamo gridare quando vediamo il male”.
Gridarono Carlos Bustos, Nelly Sosa de Forti, Pablo Gazzarri, Mauricio Silva, Carlos Mugica, Enrique Angelelli. E furono sterminati. Hanno testimoniato il Vangelo, hanno steso la coperta sulle spalle degli inermi mentre la furia armata faceva a pezzi l’umanità e uccideva il diritto. Sono stati la Chiesa. L’unica Chiesa di Gesù in mezzo a tanta folle idolatria.

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