Diritti in Corno d’Africa
La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo sancisce l’inviolabilità e l’inalienabilità di diritti di fondamentale importanza, che vengono quotidianamente violati in molte parti del mondo.
D’altra parte sappiamo bene che neppure il soddisfacimento dei più elementari bisogni dell’uomo è scontato. Inutile riportare dati che sono ben conosciuti e che rischierebbero di risultare solo aridi numeri: le persone che soffrono la povertà, la fame, la sete e la malnutrizione sono tante, decisamente troppe e periodicamente ci si chiede il perché e quale possa essere la soluzione a queste piaghe. Nel mondo si produce abbastanza cibo per sfamare i 7 miliardi di persone che lo popolano e le risorse idriche presenti nel nostro pianeta sarebbero sufficienti a soddisfare i bisogni primari di tutti.
La questione non è la quantità di risorse presenti nel nostro pianeta, ma le possibilità di accesso e le modalità di utilizzo di queste risorse, cosa che determina chi può mangiare cinque volte al giorno e chi invece è destinato ad aggiungersi al numero di coloro che non possono sfamarsi, né approvvigionarsi a fonti d’acqua sicure.
Fame, povertà e sottosviluppo come conseguenze di diritti violati nell’accesso alle risorse primarie, questo è il filo conduttore sul quale si articola il dossier “Diritti e risorse nel Corno d’Africa”, prodotto da Campagna Italiana per il Sudan e che approfondisce la questione dell’accesso alla terra, all’acqua e al cibo in una delle regioni dove la situazione dell’accesso alle risorse è tra le più allarmanti, il Corno d’Africa.
L’accesso alle risorse
La carestia che ha colpito l’area nell’ultimo anno appare ancora più stridente se pensiamo che proprio qui sono presenti vaste zone di terreni molto fertili e il fiume più lungo al mondo, il Nilo, che con altre importanti riserve idriche, come l’Omo in Etiopia, potrebbero garantire un costante approvvigionamento anche nei periodi di maggiore siccità. Ma la questione, appunto, non è se ci sia o meno l’acqua, ma chi può farne uso. Proprio per questo il Corno d’Africa è esemplare quando si parla di diritti di accesso alle risorse. Già da tempo, in questa regione diversi fattori locali, regionali, internazionali mettono sotto pressione la disponibilità delle risorse e, a subirne le conseguenze più drammatiche, è naturalmente la popolazione locale.
Secondo la Banca Mondiale, il 70% dei 45 milioni di ettari che tra il 2008 e il 2009 a livello mondiale sono passati sotto il controllo di governi stranieri in cerca di nuove fonti di cibo, di multinazionali dell’agro-business e di investitori alla ricerca di settori di investimento più sicuri, riguardano terreni africani e i Paesi del Corno d’Africa ne sono largamente interessati. Secondo i dati forniti dall’Oakland Institute, la svendita di terreni agricoli da parte del governo etiope a investitori stranieri lo scorso anno aveva quasi raggiunto i 4 milioni di ettari.
Il fenomeno, conosciuto come land grabbing, di fatto riduce la disponibilità di terreni fertili a uso delle comunità locali, mettendone a repentaglio la possibilità di procurarsi sufficienti scorte alimentari per soddisfare i propri bisogni primari. Per l’80% della popolazione di Sudan, Sud Sudan ed Etiopia la terra rappresenta, infatti, la principale fonte di reddito e di sussistenza e questo significa che il controllo da parte di soggetti stranieri di vaste zone coltivabili mette a serio rischio il diritto al cibo di milioni di persone. E non solo: in questi Paesi la terra ha anche un alto valore simbolico e le delicate e complesse relazioni tra diversi gruppi etnici si reggono proprio sulla spartizione e sull’uso di campi, pascoli e fonti d’acqua. In assenza di qualsiasi regolamentazione o forma reale di controllo e di tutela dei diritti delle comunità locali all’uso delle risorse, la penetrazione di capitali stranieri sui terreni più fertili può ulteriormente infiammare i conflitti intercomunitari per il controllo delle risorse locali.
L’acqua
Non solo l’accesso alla terra minaccia la sicurezza alimentare delle popolazioni dei Paesi del Corno d’Africa. L’altra importante risorsa è naturalmente l’acqua. Negli ultimi anni i grossi investimenti per lo sfruttamento delle riserve idriche dell’area si sono moltiplicati a vista d’occhio: la diga di Merowe inaugurata nel 2009 a nord di Khartoum, l’immenso progetto della Millennium Dam sul Nilo Blu in Etiopia, la Ghibe III nella valle dell’Omo. L’obiettivo principale è la produzione di energia idroelettrica da vendere ai Paesi vicini e la costruzione di efficienti sistemi di irrigazione a servizio dell’agricoltura intensiva. Difficile naturalmente valutare i costi e i benefici di questi immensi investimenti che, per ora, gravano sulle instabili e deboli economie di questi Paesi. Gli spostamenti forzati cui sono sottoposte le comunità locali, costrette ad abbandonare i fertili terreni nei pressi delle importanti riserve idriche interessati da questi grandi progetti, sono certamente le conseguenze più immediate e visibili di queste grandi opere. Nel caso del Merowe Multi- Purpose Hydro Project, le stime parlano di 50-70 mila persone costrette ad allontanarsi dall’area per far posto al grande impianto idrico e la cui sicurezza alimentare è notevolmente peggiorata perché i terreni assegnati loro dal governo sudanese si sono rivelati poco adatti alla pratica dell’agricoltura e dell’allevamento. Ragionevoli dubbi vengono sollevati anche sul piano della sostenibilità ambientale. Oltre all’impatto delle immense costruzioni sull’ambiente naturale e sulla biodiversità dell’area, le preoccupazioni maggiori riguardano proprio lo sfruttamento eccessivo delle acque, che metterebbe troppo sotto pressione le riserve idriche delle regioni in cui sorgono. Il Corno d’Africa è, infatti, una delle zone in cui gli effetti dei cambiamenti climatici si sentono maggiormente e, secondo gli studiosi, le precipitazioni nei prossimi anni potrebbero diminuire anche del 20%.
Il cibo
Infine, la questione del cibo. A livello mondiale, sono proprio coloro che producono il cibo, i contadini, a soffrire maggiormente la fame e la povertà. È così anche nel Corno d’Africa. Le speculazioni finanziarie, le regole del libero mercato, l’instabilità politica e il costo del carburante fanno fluttuare i prezzi delle derrate alimentari che diventano insostenibili per i piccoli produttori locali, i quali non riescono a vendere i propri prodotti nel mercato. Ad agosto del 2011 i prezzi dei cibi di base prodotti localmente sono scesi in molti Paesi della regione, ma sono rimasti comunque molto alti per le fasce più deboli della popolazione. La sovranità alimentare, ovvero il diritto di ogni popolo di avere accesso a un cibo sano, che rispetti le proprie tradizioni culturali, prodotto attraverso metodi sostenibili ed ecologici e di definire i propri sistemi di produzione agricola, assicura che i diritti d’uso e gestione delle terre, delle acque, degli animali, siano nelle mani di coloro che producono il cibo; riconosce priorità al mercato e alle economie nazionali e mette al centro le aspirazioni e i bisogni di coloro che producono e consumano. Questo può e deve essere la risposta alla grande sfida dello sradicamento della povertà e della fame.