Un soffio di vita
La crisi ambientale solleva questioni importanti in relazione alla concezione antropocentrica del mondo, che riconosce come soggetto di diritto esclusivamente la persona umana – e talvolta nemmeno questa. Da più di una decade si parla di diritti della terra, dell’acqua, dell’aria, degli animali e di tutti gli esseri viventi. Come nel 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la “Carta della terra” è stata elaborata da intellettuali e militanti di tutto il mondo: essa è una dichiarazione di principi etici fondamentali e, nello stesso tempo, un trattato che serva come un codice universale di condotta per guidare i popoli e le nazioni nella direzione di un futuro sostenibile (Carta della Tierra, Valori e principi per un futuro sostenibile, San José de Costa Rica, Segreteria Internacionae del Progetto Carta della Tierra, 1999, p. 19). Essa mette in evidenza i diritti della terra come luogo e presupposto fondamentale della “comunità della vita” e pertanto soggetto di cura e di diritti. Propone di “formare un’alleanza globale per prendersi cura gli uni gli altri e della terra medesima (cfr. Leonard Boff, Ethos mundial, um consenso entre os humanos, Rio de Janeiro, Sextante, 2003, nda).
Allo stesso tempo, la consapevolezza che nell’orbita terrestre, migliaia e migliaia di pezzi di satelliti artificiali e di oggetti vari sono gettati nello spazio come spazzatura, lasciano prevedere facilmente le conseguenze negative di questa azione sull’aria che respiriamo. Molte organizzazioni ormai parlano dei diritti dell’aria. Quando parliamo di diritti, ci riferiamo a determinati soggetti del diritto (chi ha diritto), ma anche a coloro a cui il diritto si rivolge (a chi). Si riconoscono così i diritti ambientali.
Esiste un’intima relazione tra i diritti umani e i diritti ambientali. Vale la pena verificare se ciò è giusto e come poter parlare dei diritti della terra, dell’acqua e dell’aria, così come occorre capire cosa questo significhi esattamente.
Nella sua epoca, Kant già affermava che i giuristi cercavano e discutevano di una possibile definizione del diritto, senza tuttavia arrivare a un accordo univoco. Tale discussione continua ancora oggi. Anche se questa non è la mia area di studio, mi sento di affermare che la nozione di diritto deriva da Platone. “Dikaios” si trasformò in latino “jus” e nel suo sviluppo trovò radici nell’etica giudaico-cristiana della giustizia. Ronald Dworkin, filosofo inglese contemporaneo, afferma: “Il diritto non si esaurisce in nessun catalogo di regole o principi”. Esso è definito dalla propensione che rende ciascun cittadino responsabile nell’immaginare quali siano gli obblighi della società in subordine ai suoi principi e ciò che tali obblighi esigono in ogni nuova circostanza.
Tale attitudine del diritto è costruttiva: la sua finalità è di porre il principio dinanzi alla pratica al fine di indicare il miglior itinerario per realizzare un futuro diverso, mantenendo la giusta direzione rispetto al passato” (Dworkin Ronald, O império do direito, São Paulo, Martins Fontes, 199, p. 492).
Ne deduciamo che il diritto si può affermare soltanto sul piano comunitario in quanto deve essere riconosciuto dalla società nel suo insieme. Esso esprime un carattere contestatore o innovativo in quanto definisce criteri e principi sempre a partire dalla giustizia.
Ciò pone la questione del diritto sul piano oggettivo. Nonostante una persona possa essere eccezionalmente incapace di ragionare, essa è comunque soggetto di diritti, che devono essere rispettati e riconosciuti. Allora, il diritto non si fonda soltanto nella coscienza dell’individuo, bensì si radica nella pratica della giustiza che tutti gli esseri viventi meritano. Se tutto ciò che vive ha una vocazione a svilupparsi in una rete che forma e genera vita, di conseguenza, tutto ciò che vive è soggetto di diritti. Diritti non sono assoluti o isolati, ma che meritano rispetto e considerazione. In una società nella quale vigono le leggi supreme del mercato, è fondamentale insistere nei diritti della terra, dell’acqua, dell’aria e di tutto ciò che palpita e ha vita.
Fondamenti etici
Diversi Paesi hanno prodotto legislazioni sui diritti degli animali. Si considera illegale infliggere sofferenze agli animali. Sempre più le istituzioni scientifiche sono obbligate a limitare le ricerche che prevedono l’uso di animali come cavie (quali scimpanzè, scimmie e altri mammiferi). Si registrano sempre più denunce su come il capitalismo allevi animali finalizzati alla macellazione. Questi movimenti di difesa degli animali partono dalla considerazione che, anche se gli animali non parlano o non hanno lo stesso grado di raziocinio degli esseri umani, tuttavia, manifestano sentimenti e sensibilità. Facciamo parte di una sola comunità con tutti gli esseri viventi.
Se tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla dignità, è giusto pensare che ne abbiano diritto anche gli animali, nonostante possano essere diversi. Pertanto, sono soggetti di diritto. Anche la natura merita cura e attenzione, e ciò può essere definito “diritto”. Oggi questo si basa su un dato culturale. Anticamente ciò derivava dalle cosmovisioni religiose. Le tradizioni spirituali ci insegnano a venerare la natura e tutte le creature come espressioni dell’amore del Creatore e, pertanto, come manifestazioni della presenza divina. Molte religioni antiche traducevano questo in culto alla Madre Terra, all’Acqua, agli Astri, agli Animali e alle Piante considerati sacri.
Le divinità orientali interagirono con le attività come l’agricoltura, la fecondità e le stagioni dell’anno. Fino al terzo secolo sulla collina del Vaticano, a Roma, c’era un tempio dedicato a Demetria, divinità della terra. Fino a oggi, religioni indigene e afrodiscendenti adorano Dio nelle manifestazioni del vento, della pioggia, delle cascate di acqua dolce, oppure nelle onde del mare e nelle foglie che curano le persone. Anticamente, il cristianesimo semplicemente condannava queste espressioni religiose come animismo o panteismo. Alcuni teologi affermarono che non si tratta di panteismo ma che “tutto non è Dio, ma Dio sta e si manifesta in tutto” (cfr. Leonardo Boff, Cuidar da Terra, Proteger a Vida, Rio de Janeiro, Record, 2010, p. 7, nda).
Da alcuni secoli, la società si è organizzata in forma più pragmatica. Il capitalismo considera tutto come merce, a partire da un unico obiettivo: il lucro. Grazie a questa cultura dominante in gran parte del mondo, gli esseri viventi non sono più considerati come esseri di diritto e tutto si trasforma in commercio. Per questo è urgente recuperare un’etica di valori e riaffermare il diritto ambientale come ampliamento dei diritti umani. Non si tratta solo di un necessario rispetto della natura da parte degli esseri umani. La questione più profonda è che la natura in sé ha diritto a esistere e a essere preservata. Per chi crede in Dio, violare i diritti della terra, dell’acqua e degli esseri viventi è rompere la relazione con il proprio Creatore, presente in tutto e che sostiene tutto attraverso il potere della sua Parola.
Per la ricerca scientifica più attuale, la vita è questa tela di relazioni. Secondo Fritjop Capra, fisico e teorico dei sistemi,“anche nelle cellule più piccole, opera ininterrottamente una complessa rete di processi metabolici... Il persistere della vita non è proprietà di un unico organismo o specie, ma di un sistema ecologico”(cfr. Marcelo Barros, Ecologia e Spiritualità, Quarrata, Ed. Rete Radie Resh, 2010, p. 14- 15). Negli anni Sessanta, Humberto Mutirana, neuroscienziato cileno, ha scoperto: “La vita è un processo di conoscenza. Esiste una autopoesis, cioè, un’autocreazione. La vita si ricrea”.
La proposta di un’etica mondiale non è allora di ritornare ai tempi antichi o di riprendere forme di adorazione della natura, ma di imparare da queste tradizioni a coltivare una relazione di rispetto e amore verso tutti gli esseri viventi e l’insieme dell’universo. È cura della vita in sè e ne deriva e prende forma un’etica del prendersi cura della vita e della sostenibilità, che può essere accettata da tutti. Ciò può sembrare generico, ma non lo è.
Enrique Dussel, filosofo e teologo della liberazione, afferma che arriveremo a un’etica mondiale e ambientale solo se partiremo dagli ultimi e dagli esseri umani esclusi dal sistema dominante e che vedono la loro umanità negata (Enrique Dussel, Ética de la Liberación en la edad de la globalización y de la exclusión, Madrid, Trota, 1998).
Sfide e prospettive
Durante i secoli, l’umanità ha sempre avuto un’etica ambientale e ha intuito che la natura ha dei diritti intrinseci alla sua esistenza, ma non si è mai avuto il bisogno di elaborare tale pensiero. Così come i diritti umani furono esplicitati soltanto dalle rivoluzioni liberali del secolo XVIII e furono dichiarati e accettati dalle nazioni solo nel secolo XX, allo stesso modo, soltanto oggi che la crisi ambientale ha assunto proporzioni spaventose, l’umanità ha preso coscienza dell’urgenza di definire i diritti ambientali e un’etica di giustizia nella relazione dell’essere umano con l’universo che lo avvolge. Cresce sempre più il numero delle persone che prendono coscienza che la maggior minaccia alla sostenibilità della terra e alla preservazione della vita sul pianeta è data dal sistema sociale ed economico che domina ed è predatore. Non esiste possibilità di vera etica ambientale a partire daí presupposti del capitalismo. O l’umanità muta il proprio percorso sociale ed economico, o non ci sarà salvezza per la vita sul pianeta. Il concetto di “sviluppo sostenibile” la maggioranza delle volte si identifica con il diritto di continuare questa “ossessiva pigiatura senza limiti”, tipica della produzione capitalistica, di sfruttare la terra e le sue risorse il più possibile, ossia fino alla massima sopportazione della terra.
Le organizzazioni ambientali prendono coscienza che la vera sostenibilità esige un cambiamento di rotta, una cultura della sobrietà che non vuol dire necessariamente “decrescita” (che gran parte degli ecologisti sostengono e auspicano), ma che almeno non significhi la continuazione lineare di questo tipo di crescita irresponsabile.
In un mondo nel quale più di un milardo di persone vive sotto la soglia della povertà e non ha la sicurezza della sopravvivenza, i diritti ambientali dipendono intimamente dal rispetto dei diritti umani. La povertà ingiusta e la miseria violano flagrantemente i più elementari principi dichiarati nella Carta dell’ONU sui diritti umani. Senza il rispetto di questi diritti non si può parlare di diritti ambientali. L’ecologia ambientale necessita fondamentalmente di un’ecologia sociale. Allo stesso modo, lo sfruttamento della terra è un elemento del sistema patriarcale che fino a oggi ha dominato il pianeta. Come la consapevolezza che l’oppressione che schiaccia la terra deriva dalla stessa fonte della discriminazione sulla donna (il patriacato come sistema). In diverse parti del mondo, gruppi ambientali e di militanza sociale hanno approfondito ciò che si definisce ecofemminismo o ciò che rientra nella teologia ecofemminista. La prospettiva di rispetto verso la natura presuppone una giusta ridefinizione della relazione tra i generi e di partecipazione dell’uomo e della donna nella società e nella comunione con la natura.
Negli ultimi anni, in diversi Paesi dell’America Latina, è fiorito un nuovo processo sociale e politico che parte dalle comunità indigene e popolari. In ogni Paese esso prende forme differenti, ma si è costituito come un nuovo processo bolivariano (ispirato a Simon Bolivar, il liberatore). In questo processo, uno dei concetti più importanti è il “bem viver”, che non ha nulla a vedere con il desiderio capitalista del vivere meglio. Si tratta, piuttosto, di cercare una vita di qualità e di pienezza per sè e per tutti in comunione con la natura. Il bem viver è una categoria fondamentale di questa nuova etica ambientale. Possiamo dire che corrisponde a quello che Vandana Shiva definisce “democrazia della comunione terrena”, che deve unire tutti i popoli e ogni persona in base a valori come la cooperazione e l’impegno disinteressato per globalizzare la solidarietà, la giustizia e la sostenibilità” (Vandana Shiva, Il bene comune della terra, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 16- 19).
Chi lavora nelle comunità popolari e nei gruppi di base in America Latina percepisce immediatamente che un importante fondamento dei diritti ambientali e dell’etica sulla quale si basano è quello che definiamo “spiritualità ecologica”, legata sia a qualche religione, sia a un cammino post-religioso, o appartenente allo stesso ateo; tale spiritualità deve renderci capaci di captare, in tutte le creature, nella sua immensa diversità, un linguaggio di bellezza e di propagazione dell’amore universale. La missione dell’essere umano è la capacità di prestare orecchio alle migliaia di eco che vengono da questa grande Voce; quella di celebrare la sua grandezza e di unirsi alla canzone di lode che tutte le cose rivolgono al loro Creatore. L’essere umano è chiamato ad essere sinfonico e a riconoscere il maestro di questa orchestra cosmica: Dio, fonte di vita e attrazione unificatrice di tutto. Soltanto l’essere umano può realizzare quello che testimoniava il poeta e mistico inglese William Blake: “Vedere il mondo in un grano di sabbia, il cielo in un fiore silvestre, contenere l’infinito nel palmo di una mano e l’eternità in un’ora” (Marcelo Barros, Ecologia e Spiritualità, Quarrata, Rete Radie Resh, 2010, p. 122).