Con la forza del Vangelo
L’itinerario storico della tradizione cristiana dei diritti umani non è stato un percorso lineare. Ci sono state, infatti, da parte del magistero cattolico molte riserve e condanne di fronte all’affermarsi dei diritti dell’uomo all’indomani della Rivoluzione francese.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata il 26 agosto 1789 dall’Assemblea nazionale francese, è il primo documento storico dedicato per intero ai diritti dell’uomo.
Il testo non provocò inizialmente alcuna diretta reazione da parte del magistero pontificio, che peraltro non aveva mosso obiezioni neanche alla Dichiarazione americana del 4 luglio 1776, nella quale pure sono evocati i “diritti inalienabili” dell’uomo.
La stessa Assemblea nazionale francese adottò, quasi un anno dopo, la Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), con la quale si condizionava notevolmente la vita della Chiesa, e poi il Decreto (27 novembre 1790) con cui si imponeva al clero il giuramento di adempiere le disposizioni della Costituzione.
Fu solo dopo tali provvedimenti che papa Pio VI firmò, in data 10 marzo 1791, in risposta a una lettera che i vescovi presenti all’Assemblea nazionale francese gli avevano indirizzato il 10 ottobre 1790, il breve Quod aliquantum, nel quale si avanza una serie di critiche alla Costituzione civile del clero.
Per questi motivi, il magistero pontificio rimase per circa un secolo in una posizione di chiusura verso i diritti dell’uomo, condannando in particolare la libertà di coscienza e di stampa; rifiutando complessivamente i principi di quel liberalismo politico che si fece alfiere di alcuni – ma solo di alcuni – diritti dell’uomo.
L’atteggiamento comincia a essere diverso con Leone XIII, il quale sottolinea il concetto dell’uguale dignità di ogni uomo quale figlio di Dio, un concetto su cui tornerà nell’enciclica Rerum Novarum per difendere i lavoratori da un ingiusto sfruttamento.
Si può dire che è così avviato il cammino della Chiesa alla scoperta delle radici evangeliche della nozione dei diritti dell’uomo, una volta stemperati i toni aspri comparsi al momento della loro formulazione storica.
Punto di arrivo di tale cammino è il riconoscimento che l’impegno per la promozione e la difesa degli autentici diritti dell’uomo fa parte della missione pastorale della Chiesa, custode e promotrice della dignità umana e dei diritti che ne derivano, contraddistinti dall’impronta dell’universalità e dell’indivisibilità.
Il Magistero ha apprezzato in modo sostanzialmente positivo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948. Tale apprezzamento ha impresso una svolta decisiva nel modo con cui la Chiesa ha cominciato a guardare ai diritti umani.
Ricordiamo soprattutto l’enciclica Pacem in Terris dell’11 aprile 1963 di Giovanni XXIII, da cui viene un’apertura significativa alla questione dei diritti umani, che scaturiscono dalla stessa natura umana: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili” (PT n. 5).
A riguardo, singolare attenzione meritano gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, specie la costituzione pastorale Gaudium et Spes del 7 dicembre 1965 e la dichiarazione Dignitatis Humanae del 7 dicembre 1965.
Nella Gaudium et Spes leggiamo che “la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque” (GS 41).
Bene comune
Nel solco del Concilio sono avanzati Paolo VI e Giovanni Paolo II. Paolo VI indirizzò un messaggio alla Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Teheran il 4 dicembre 1968, in occasione del ventesimo anniversario della Dichiarazione Universale. In quella circostanza egli sosteneva che “parlare dei diritti dell’uomo è affermare un bene comune dell’umanità, è lavorare a costruire una comunità fraterna.
Numerosi sono gli interventi successivi del Magistero nella medesima direzione. Si pensi all’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI del 26 marzo 1967; alle encicliche di Giovanni Paolo II Redemptoris Hominis del 4 marzo 1979, Laborem Exercens del 14 settembre 1981, Sollecitudo Rei Socialis del 30 dicembre 1987, Centesimus Annus del 1 maggio 1991; senza dimenticare, poi, i numerosi discorsi pronunciati da quest’ultimo in occasione delle visite pastorali in tutto il mondo.
Benedetto XVI, nel 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ha ricordato che tale documento “costituisce ancora oggi un altissimo punto di riferimento del dialogo interculturale sulla libertà e sui diritti dell’uomo, insistendo sul fatto che i diritti dell’uomo sono ultimamente fondati in Dio Creatore, il quale ha dato a ognuno intelligenza e libertà.
La Chiesa cattolica ha preso molto sul serio la promozione e la difesa dei diritti umani, e in questo suo impegno è animata dallo spirito evangelico, guidata dal desiderio di pace, dalla ricerca di giustizia, dal rispetto della dignità della persona.
È proprio su tale onda di convinzioni che Giovanni Paolo II nel Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2 ottobre 1979 definì la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, “una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano, nonché una delle più alte espressioni della coscienza umana del nostro tempo”.
Animato dalla medesima consapevolezza, anche Benedetto XVI, nelle parole dirette all’Assemblea generale dell’ONU, il 18 aprile 2008, affermava: che “la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società.
La Chiesa, consapevole di come la sua missione essenzialmente religiosa include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell’uomo, mentre compie la sua azione educatrice delle coscienze, rende il proprio impegno pastorale più efficace mediante la testimonianza ecumenica, la collaborazione sincera con gli organismi, governativi e non governativi, che aiutano a difendere e a promuovere i diritti dell’uomo, a livello nazionale e internazionale.
Nel 1998, in occasione del 50° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, convocò in Vaticano un Congresso mondiale sulla Pastorale dei Diritti Umani, per sottolineare il legame che unisce la missione evangelizzatrice della Chiesa alla promozione e alla difesa della dignità di ogni essere umano.
Nella questione dei diritti umani, “la Chiesa coglie la straordinaria occasione che il nostro tempo offre affinché, mediante il loro affermarsi, la dignità umana sia più efficacemente riconosciuta e promossa universalmente quale caratteristica impressa da Dio sulla sua creatura” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 152).
Oggi, nel mondo, viviamo tempi drammatici nei quali ogni giorno assistiamo alla violazione dei diritti dell’uomo, certe volte nelle forme più spietate e disumane che fanno pensare a un imbarbarimento di questa nostra epoca. È quanto denunciava Giovanni Paolo II nella Lettera a K. Waldheim, segretario generale dell’ONU, in occasione del 30° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Se passiamo in rassegna l’ultimo trentennio, abbiamo più d’una buona ragione per rallegrarci dei progressi realizzati in questo campo. Tuttavia, non possiamo ignorarlo, il mondo in cui oggi viviamo ci offre troppi esempi di situazioni d’ingiustizia e di oppressione. È facile rilevare una crescente divaricazione tra le dichiarazioni molto significative dell’ONU, da un lato, e, dall’altro, un massiccio aumento delle violazioni dei diritti dell’uomo in ogni parte della società e del mondo”. Viviamo, però, anche tempi esaltanti perché in tante aree del mondo finalmente i diritti proclamati vengono conquistati e riconosciuti. È necessario promuovere una cultura e una pedagogia dei diritti umani, che si fondino sulla consapevolezza che l’umanità è modellata sull’alterità come sua fonte di ricchezza da tutelare e promuovere. In fondo, per riprendere un’espressione di Hannah Arendt, non esiste che “un unico diritto umano fondamentale: quello di appartenere a una comunità politica che sia effettivamente in grado di garantire dei diritti”.