Di tutti e di ciascuno

Alla base dei diritti umani vi è il principio che determinati beni siano comuni. Tra pubblico e privato il dibattito si accende. Verso l’individuazione e il riconoscimento di beni che siano di tutti.
Antonio De Lellis e Silvio Piccoli (Diocesi di Termoli, Punto Pace Pax Christi Termoli)

Secondo una prospettiva filosofica, le decisioni circa il contenuto dei diritti umani non possono essere indipendenti dalle scelte su come vogliamo che la nostra società debba essere, ovvero le decisioni riguardanti il bene comune. Quest’idea contribuisce a illuminare di una luce nuova il rapporto tra diritti umani e beni comuni, che parte, nella tradizione liberale, dalla loro opposizione, definendo i diritti di individui, in generale, in contrasto con le merci comuni ovvero con i beni comuni. Se i diritti umani devono essere intesi come correlati con le decisioni sul bene comune, devono proteggere gli interessi così importanti e tali da garantire gli individui in tutti i contesti. Percorsi storici possono, infatti, portare a scelte diverse circa le priorità. Tuttavia, al di là delle differenze di contesto e di percorsi storici, vi è una reale e diffusa accettazione sulla priorità di alcuni interessi individuali, quando questi sono ritenuti così fondamentali che trascurarli sarebbe semplicemente minare ogni altra considerazione su altri interessi e sui beni comuni, in qualsiasi condizione. Per i diritti umani la comunità rilevante è l’umano, comunità del mondo, che può organizzarsi istituzionalmente, al fine di promuovere una condivisa idea di bene comune.
Mentre la scienza giuridica si occupa di beni, tesi a soddisfare e garantire diritti, la scienza economica considera i beni in rapporto alla loro utilità e utilizzabilità da parte delle persone.
E. Ostrom, premio Nobel per l’economia, evidenzia come l’acqua, l’atmosfera, i parcheggi in città, le autostrade, la rete internet sono alcuni dei beni abitualmente utilizzabili in comune, rispetto ai quali si registrano, per motivi diversi, difficoltà di esclusione e il cui consumo da parte di un attore riduce la possibilità di fruizione da parte di altri. Questi beni sono denominati risorse comuni. Esiste, poi, la tragedia dei beni comuni: poiché gli uomini sono egoisti (assunto), i beni a libero accesso o comuni sono destinati irrimediabilmente a degradarsi o a scomparire. Secondo Hardin, esistono due modi per controllare il degrado: un’autorità esterna o la suddivisione del bene in più parti da affidare alla gestione privata di diverse persone interessate. Tra queste due possibilità, che potremmo dire dello Stato o del privato, Ostrom propone una terza via: la gestione comunitaria. Si tratta di beni che, in una logica di coesione economico-sociale, sono orientati al soddisfacimento di diritti fondamentali. Dal punto di vista giuridico, in Italia, la bozza di Riforma della Commissione Rodotà (2008) ha definito una categoria assolutamente nuova e inesistente nel panorama giuridico europeo, quella dei beni comuni. Tale bozza si ispira a principi costituzionali interni ed europei. Proprio l’affermazione del principio della coesione economico-sociale e territoriale la si deve in gran parte all’insorgere sempre più vigoroso dei servizi di interesse generale accanto ai servizi di interesse economico-generale, cioè quei servizi (abitazione, istruzione, sanità, assistenza sociale) fisiologicamente non orientati al mercato, verso i quali dovrebbe attuarsi una naturale ri-legittimazione del ruolo pubblico.
Da ultimo, proprio il recente trattato di Lisbona prevede uno specifico protocollo (n.26) sui servizi di interesse generale, che formalizza la differenza tra servizi di interesse economico-generale e servizi di interesse generale. La disciplina di questi ultimi è lasciata all’assoluta competenza degli Stati membri.

Nuove prospettive
Di fronte alla tragedia dei morti e dei costi economici delle distruzioni causati dalla seconda guerra mondiale, si immaginò (nelle dichiarazioni e convenzioni dell’ONU) il mondo come unica “famiglia umana” solidale quale “ideale da raggiungere”. Lo schema culturale aveva nella “dignità” della persona il perno centrale; i popoli, cooperanti e non in conflitto, tramite la rappresentanza dei governi nazionali, impegnati a eliminare le condizioni disumane (schiavitù, esclusione, discriminazioni, fame, tortura, ecc..) per riconoscere, garantire, tutelare e promuovere sia diritti innati, non concessi, che pari opportunità, senza discriminazioni, circa i bisogni fondamentali di vita umana degna di tale nome.
Stupisce rileggere i due “preamboli”, identici, dei due Patti sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici, attuativi della Dichiarazione del 1948. Approvati dall’Assemblea generale nel 1966, divennero legge vincolante nel 1976. Dimentichiamo che “diritto” indica innanzitutto “direzione” (directum) da percorrere e da mantenere per lungo periodo; immemori, ancora, di quale forza morale generarono nelle coscienze, singole e collettive, dei dissidenti/resistenti.
Gran parte dei poteri oppressivi moderni sono implosi dall’interno per difetto di antropologia, come riconosceva Giovanni Paolo II.
Scorriamo parte dell’elenco della seconda metà del secolo XX: l’India con Gandhi, l’intera Unione sovietica e le sue Repubbliche, la Polonia con Solidarnosc, la Cecoslovacchia con Havel, la rivolta dei Garofani in Portogallo, il passaggio alla democrazia della Spagna, il Sud Africa con Mandela, e in ultimo le rivolte del Nord Africa, la terribile situazione della Siria, la permanente resistenza dei Palestinesi, ecc… Abbiamo sepolto, ancora viventi, i martiri dei diritti, della giustizia, della pace, della nonviolenza, per innamorarci di “speculatori”: è il corto circuito della cultura occidentale. Oggi siamo al cospetto dell’implosione del potere economico, mercantile e finanziario; vero potere stragista della terra, dell’ambiente, dei viventi, delle attività creative dell’uomo, dei suoi atteggiamenti umanizzanti, causa un progetto mercantile privatistico senza limiti e senza doveri. Si legge, in modo identico, nell’art.1 dei due Patti citati: “1) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione… essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono il loro sviluppo economico, sociale e culturale. 2) Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, ... In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza”. Scrive Ugo Mattei: “Quando lo Stato privatizza una ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di privatizzare il servizio idrico integrato (cioè l’acqua potabile) o l’università, esso espropria la comunità (ogni singolo membro pro quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune) in modo esattamente analogo e speculare a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un’altra opera pubblica… In un processo di privatizzazione il governo non vende quanto è suo, ma quanto appartiene pro quota a ciascun componente della comunità… La tradizione liberale tutela il proprietario privato, cui viene sottratto un bene, tramite l’indennizzo, nessuna tutela giuridica sussiste nei confronti di un Governo/Stato che sottrae alla collettività beni comuni trasferendoli ai privati… La consapevolezza della rilevanza dei beni comuni – legati alla soddisfazione diretta dei bisogni e diritti delle persone e collettività – è diventata il collante, ancora politicamente amorfo, radicata nel senso profondo dell’ingiustizia subita: i veri nemici del bene comune, paradossalmente, sono proprio i governi che dovrebbero esserne fedeli tutori. La falsa contrapposizione tra Stato e mercato dello scenario occidentale si è sviluppata nella dialettica Stato-proprietà privata, dove soltanto la seconda necessitava di tutele di fronte a governi autoritari e onnipotenti; nel nuovo scenario di rapporto Stato/privato (corporation), in cui il primo risulta funzionale al secondo, è la proprietà ‘pubblica’ (ancora detta così) a necessitare di tutela e garanzia di lungo periodo. La categoria dei beni comuni è chiamata a svolgere questa funzione di tutela nei confronti tanto dello Stato che del potere privato” (I Beni comuni, Laterza).
Per ora il diritto è solo “direzione” intravista e percorsa da popoli, dovrà presto essere codificato dai governi come “nuovo diritto sociale di ultima generazione”. Qui si vedrà la nostra nobilitate, capace di promuovere e non rovinare il futuro del mondo, degli uomini, degli animali, delle piante e dell’ambiente tutto.

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