POTERE DEI SEGNI

Chiesa di parte

Chiesa del Magnificat: ecco cosa servirebbe oggi, per rimettere al centro le beatitudini del Vangelo e ritrovare la santità che viene dai poveri.
E dalle cose belle della vita.
Tonio Dell'Olio e Renato Sacco

Da una conversazione di don Tonino con Vito Cassiano nasce l’immagine di una comunità cristiana che sappia scegliere gli ultimi anche sull’esempio di Maria. Una Chiesa-Vangelo, una Chiesa-sale, una Chiesa-segno (da Anno ventesimo, n.5 del 1992).
La cosa più importante è che nelle nostre comunità si sperimenti la comunione, la comunicazione.
Questo manca o è poco presente. Così si cominciano a costruire le comunità. Se non c’è comunione, se non siamo icona della Trinità, le nostre non si possono chiamare comunità ecclesiali. […] Il problema più grave è che le nostre comunità spesso sono asfittiche, non hanno slanci, sono bloccate, chiuse, fanno fatica a esprimersi evangelicamente. Il problema forte oggi è una Chiesa, per esempio, che si fa povera. Non solo che parli dei poveri e ai poveri, ma che si fa povera, che vive con i poveri, che rende semplice il suo linguaggio. Io, oggi, come vescovo, mi pongo prima di altro questo problema. Le questioni riguardanti la diffusione dei ministeri, sono sempre problemi ad intra. Sono problemi che vanno anche affrontati; ma il problema grosso è che questa Chiesa è chiamata a essere il sale della terra e la luce del mondo e che ancora molto spesso lascia insipidire le minestre della terra e lascia oscure tante fasce del mondo. È necessaria oggi una Chiesa che sia coerente, di parte, com’è stata Maria, donna di parte; che si schieri, cioè, non per fare da contrapposizione con quelli che stanno all’altra sponda, ma per invitarli con i canti della nostalgia a venire su questa sponda. Una Chiesa come Maria del Magnificat. Questo significa “scelta preferenziale”per gli ultimi e per tutto ciò che richiama le beatitudini del Vangelo.
Una Chiesa che scenda veramente dal suo piedistallo, dal suo palazzo, che si fa popolo…
È necessario prendere coscienza che la Chiesa è segno. Il segno non totalizza mai la realtà; il segno è diverso dalla realtà. C’è un legame, ma c’è anche uno iato tra la realtà e il segno. L’idea di poter incorporare all’interno di una comunità tutte le persone di una comunità, di una parrocchia, non è evangelica, non è biblica. Il segno è la lampada che tu vedi nel buio della notte…
La santità non è assorbita, fagocitata dalle comunità cristiane; la santità è diffusa, nel gesto del pescatore che tira le reti e le stende al sole; la santità è diffusa nell’abbraccio che due ragazzi innamorati si danno; è diffusa nella canzone che ti giunge all’orecchio da una rotonda sul mare; la santità sta nel canto delle claustrali... Voglio dire che, se noi sapessimo scoprire tutta questa vita, come ricettacolo anche della santità, ci faremmo prendere meno dall’ansia. […] Se noi sapessimo scoprire la santità della vita, saremmo capaci di accostare il pescatore che tira la barca a secco e dirgli con semplicità: Come stai? Sei felice, oggi? Sai che il tuo lavoro ha per scopo un progetto… e diremmo tutto questo non con un’aria magisteriale, ma con atteggiamento umile, di chi condivide la ferialità della povera gente, incarneremo anche noi la semplicità e l’essenzialità di Francesco d’Assisi, che seppe scoprire in tutte le creature la presenza di Dio.”

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