MOVIMENTI

Piazze multicolori

A partire da Wall Street, giovani indignati hanno occupato le principali piazze di tutto il mondo. E i simboli dell’alta finanza e del potere economico.
Nuove forme di resistenze dal basso.
Phil Ruston

“Occupy Wall Street” è stato uno spartiacque a livello mondiale, per il 2011, un simbolo di un cambio del vento, in un anno ricco di simboli di quel cambiamento. Arrivando sulla scia della “Primavera araba”, la mobilitazione degli studenti cileni e il movimento degli “Indignados” spagnoli (e di una poco conosciuta manifestazione di quest’ultimo, gli “encachimbados” in Nicaragua, Honduras e El Salvador, che ha unito attivisti ispanici e statunitensi in un movimento contro il “capitale transnazionale”), sono stati sia il culmine che il rilancio a un altro livello di moti sociali e politici in tutto il mondo.
Già due settimane dopo la creazione di “Occupy Wall Street” lo scorso settembre, non era più soltanto “Occupy Wall Street”. Era diventato “Occupy Boston” e “Occupy Los Angeles”, e ben presto si è allargato per includere “Occupy Montreal” e altre città in Canada, seguiti da centinaia di altre città, anche piccole, negli Stati Uniti. Da movimento prevalentemente bianco si è presto fatto multicolore con la creazione di “Occupy the ‘Hood” nei quartieri afroamericani e ispanici di New York, Detroit e New Orleans, e poi tante altre.

In USA
Il 15 ottobre le forze “Occupy” e “Indignados”, unite in un’unica iniziativa globale, sono state adottate come forme di auto-identificazione di un nuovo movimento sociale e politico da attivisti di centinaia di città in tutto il mondo. Soltanto in Italia battibecchi tra varie frazioni di quel che rimane della sinistra italiana ci hanno regalato l’imbarazzante primato di essere quasi l’unico Paese al mondo che si è tenuto fuori, almeno per ora, da questa ondata globale.
A fine ottobre, l’asse portante del movimento USA verso la costa pacifica, con un nuovo radicamento sociale: “Occupy Oakland”, nella baia di San Francisco, ha risposto allo sgombero violento del suo accampamento, da parte di un dipartimento di polizia con una pluridecennale tradizione di brutalità, con uno sciopero generale in cui ha ottenuto la solidarietà dei portuali della costa pacifica, e di molti settori del pubblico impiego della città. Anche a New York il movimento aveva cominciato a raccogliere consensi tra le organizzazioni dei lavoratori, culminando in una grande manifestazione organizzata dal New York Labour Council, che ha consapevolmente adottato le parole d’ordine del movimento.
Quando, durante i mesi di novembre e dicembre, le autorità statunitensi hanno contrattaccato, sgomberando le piazze in sempre più città statunitensi, “Occupy Wall Street”, seguito da gruppi “Occupy” in tutti gli USA, ha risposto con quell’intelligenza tattica ben nota, lanciando la campagna “Occupy Our Homes” per radicare il movimento nella realtà di milioni di cittadini vittime del pignoramento delle loro case in seguito allo scoppio della crisi “sub-prime”.

E non solo
Oggi ci sono nuovo portatori della parola “Occupy” su altri continenti. La nuova avanguardia è africana, nella forma di Occupy Senegal, che lotta contro la corruzione e il monopolio del potere politico; oppure Occupy Nigeria, che si oppone a politiche che regalano la ricchezza del Paese alle multinazionali del petrolio e fanno pagare i costi alla cittadinanza. È latinoamericana, nelle vesti, ad esempio di Ocupa Salvador, che lotta per ridare il Carnevale al pubblico di Bahia, a prescindere dalla loro classe sociale o colore della pelle. Ed è russa, nella forma di Occupy Russia e altri movimenti che, nonostante una confusione politica durata più di mezzo secolo, due decenni di neoliberismo feroce, la repressione della polizia e il freddo davvero siberiano, tentano di rilanciare la protesta sociale.

Cosa è?
Allora in che cosa consiste questo nuovo fenomeno? Sicuramente negli Stati Uniti un ruolo chiave nel suo radicamento è stato giocato dal terremoto sociale rappresentato dal pignoramento delle case di milioni di statunitensi in seguito allo scoppio della bolla del mercato “sub-prime”. Inoltre, Paul Mason, giornalista del quotidiano britannico “The Guardian”, ha identificato gli “studenti senza futuro”, come parte centrale della protesta, in riferimento ai tanti studenti indebitati e disoccupati che ne fanno parte in tutto il mondo avanzato.
Per molte persone che conoscono “Occupy” tramite le immagini dei media, può sembrare il movimento delle tende nelle piazze. Ma le occupazioni delle piazze erano soltanto una delle espressioni della mobilitazione, in un determinato momento e contesto. Negli Stati Uniti, davanti al duomo di St. Paul’s a Londra o nel quartiere finanziario “La Défense” di Parigi, mantenere gli accampamenti ha avuto un grande valore in termini del mantenimento della visibilità del movimento, e soprattutto della ripresa di uno spazio pubblico. Diversamente, le mobilitazioni in Nigeria, Senegal e Russia non hanno adottato questa tattica, ma hanno comunque voluto identificarsi con lo stesso nome.
Si vede comunque l’influenza di “Occupy/Indignados” nel modo in cui è cresciuta la protesta nella Nigeria, e il movimento che ora si sta affermando in solidarietà con la popolazione della favela brasiliana “Pinheirinho” nella città di Sao Paolo, dove 9.000 abitanti stanno lottando contro lo sgombero forzato. In entrambi i casi, la crescita della protesta è stata accompagnata da manifestazioni in tutto il mondo, guidati da nigeriani e brasiliani all’estero, proprio come il movimento degli “indignados” ha portato cittadini spagnoli e i loro sostenitori in piazza in tutto il mondo, e come è cresciuto lo stesso movimento “Occupy”.
Forse quel che accomuna tutte le mobilitazioni “Occupy”, più che l’occupazione di uno spazio pubblico in sé, è la volontà di ritornare a interessarsi della cosa pubblica, di ridefinirla come luogo di decisione e di controllo al di fuori del monopolio di pochi privati quali le banche e le “corporations”, come il movimento statunitense definisce le grandi aziende che comprano il potere decisionale nel Paese e si accaparrano fette del mercato. Uno degli slogan più popolari del movimento statunitense dice: “The banks got bailed out; we got sold out” che, nella sua sinteticità anglossassone, denuncia come il governo ha dato miliardi per salvare le banche dai propri errori mentre la gente comune è stata lasciare ad affrontare la crisi senza nessun sostegno governativo. Abbandonati dai governi che dovrebbero rappresentarli, in questo nuovo movimento che si diffonde in tutto il mondo milioni di persone stanno riscoprendo la capacità di rappresentare se stessi e, per farsi ascoltare, stanno lottando per aprire un nuovo spazio pubblico, partecipato, e democratico.

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