PAROLA A RISCHIO

Filìa e Logos

Un Dio al di sopra di ogni cosa, capace di amare a dismisura, in modo disinteressato e infinito. Ecco ciò in cui credo.
Giovanni Mazzillo (Teologo)

D come Dio. Come DARSI, sì come DONARSI. Non c’è alcun Dio se non il Dio che si dona. Insomma: “Non si dà un Dio che non si dà”. Ma non è un gioco di parole. Per me è una legge metafisica. Superiore persino alla legge gravitazionale di Newton che tiene in moto pianeti e satelliti, stelle e galassie. O se si preferisce: superiore persino all’unica legge, della quale si è tuttora alla ricerca, che unifichi quelle quattro leggi primordiali: la nucleare, che tiene uniti gli atomi e le loro particelle subatomiche; la forza debole della radioattività; la forza elettro-magnetica e appunto la stessa forza di gravità.
Superiore a questa, perché dà ragione di essa e di tutte le altre da essa dipendenti. L’aveva intuita Empedocle. L’aveva chiamata filìa, da filéin, amore tra simili, amore disinteressato che fa esistere le cose, mentre l’odio, il néikos, le disgrega e le distrugge. Se Dio è la radice di tutte le cose e ogni realtà nasce dall’amore, non si dà un Dio che non si dona. Legge metafisica, perché è oltre le leggi fisiche e ne spiega la sensatezza ultima. Dà la ragione a tutte le altri ragioni. È il Logos, cioè la ragione ultima, oltre la quale non ne esiste un’altra. Similmente a quella scoperta da Parmenide e udita per la prima volta da queste parti, nella scuola di Elea: l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere. Oggi sono in grado di tradurla così: Dio è colui che ama e non può non amare. Un dio che non ama non può esistere. Quale sarebbe l’alternativa e quale di fatto è stata ed è per tanti l’immagine di Dio?
Quella di una soverchiante potenza, spinta fino al massimo dell’immaginabile: appunto il Dio onnipotente, con parola ancora più altisonante, quella pronunciata dai grandi inquisitori spagnoli: el todopoderoso. Ma un Dio così è solo un dio che può permettersi tutto ciò che noi non possiamo permetterci, ma che alla fine presta il fianco a quanti lo attaccano radicalmente, vedendovi solo una sorta di compensazione ai nostri limiti, fino a parlare di una “proiezione” nell’alto dei cieli di ciò che noi troviamo limitato e frustrante quaggiù sulla terra.
In effetti, nell’idea della onnipotenza si cela un concetto ancora grezzo non solo di Dio ma della stessa potenza. E ciò deve essere assolutamente chiarito, perché il potere in quanto tale dice solo una modalità di essere e di agire, una potenzialità che alla fine può essere distruttiva o costruttiva, o al massimo conservativa della realtà.

Infinito bene
Dichiarare Dio onnipotente, senza precisare di che natura sia il suo potere, lasciandolo a un arbitrio assoluto, significa consegnare la stessa onnipotenza a qualcosa di superiore ad essa: alla soverchiante potenza dell’arbitrio. A motivo di questa lacuna non sono mancati coloro che hanno ipotizzato un principio di infinito male accanto al principio dell’infinito bene. Di contro, non sono mancati quanti si sono resi conto che due infiniti paralleli e contrapposti alla fine si elidono a vicenda e pertanto non possono esistere. Non volendo allora arrivare al principio dell’esistenza di un unico principio, quello dell’infinito Bene, giocando al ribasso, hanno invece ritenuto che ci sia solo un infinito male …
Intuisco due obiezioni. La prima: se può esistere solo un Dio che è infinito bene e, dunque, un Dio che si dona, che valore hanno tutte le religioni che non sono arrivate o non arrivano a questa “realtà” di Dio? Seconda: da dove abbiamo la certezza che questa sia la vera natura di Dio e che essa sia assoluta e non il frutto di interpretazioni, ripensamenti e immaginazioni dell’uomo?
Rispondo alla prima. Siamo proprio sicuri che nelle altre religioni non ci siano almeno le tracce dell’intuizione che Dio è Bene e vuole il bene? È vero, non sempre le religioni arrivano a una formulazione simile a quella qui ipotizzata, ma spesso hanno indicato la misericordia di Dio, la sua volontà di salvezza per gli uomini, la sua riprovazione del male. Segnali che senza dubbio vanno in questa direzione.
E tuttavia, lo sappiamo bene, la bontà di Dio è stata vista da alcuni come una bontà che non sopporta il male, né la vista del male. Sostituendosi a Dio, e quasi volendo fare il suo mestiere, qualcuno ha invocato e invoca un dio giustiziere che faccia piazza pulita dei malvagi e lasci vivere solo i buoni, che – guarda caso – coincidono sempre e solo con coloro che lo invocano come supremo e definitivo terminator. Sono andate e vanno molto più in là quelle forme religiose in cui simili “oranti” si sono autolegittimati come braccio religioso o secolare (fa lo stesso) della giustizia divina del repulisti. In nome suo hanno distrutto uomini e culture, hanno immolato bambini e sacrificato innocenti, hanno eliminato dissidenti ed “eretici”, hanno vagheggiato e vaneggiato “guerre sante”, in un binomio che accosta la peggiore e più generalizzata forma di violenza al nome di Dio. Una vera bestemmia, contenuta in una semplice e apparentemente innocua locuzione verbale!

Nessun dominio
Non ci siamo proprio. Un dio che vuole la violenza e la distruzione non esiste: è frutto solo della propria smania di dominio e della propria incapacità a sopportare l’idea del diverso. Ma tutto ciò è vera e propria prassi di ateismo. È volontà smisurata di potenza.
Alla seconda obiezione possiamo rispondere che al Dio che si dona, che dà la vita e non la toglie, si arriva con le ragioni del cuore e, contemporaneamente, con un pensiero che non solo pensa, ma pensa in maniera sensibile, sensibile al dolore e alla sofferenza dell’altro, degli altri. E, inoltre, arriva a un Dio che non annulla le diversità, ma le ama, perché le ha volute e le vuole, … forse perché è convivenza originaria e fondamentale di diversità, che in lui continuamente si ricompongono. Potrebbe essere la fonte stessa della diversità delle cose, degli uomini e dei popoli.
Sì, prevengo l’ultima reazione: ma un Dio così è il Dio cristiano. È il Dio dell’amore che continuamente scorga dalla comunione di distinte persone. Rispondo: è il vero e unico Dio, ma è il Dio di tutti e quello a cui tutti, anche se inconsapevolmente, aspirano. Certamente a una tale chiarezza (che vorrei tanto che fosse così per tutti, almeno tra noi cristiani) arriviamo con la rivelazione di Dio all’umanità attraverso la vicenda storica di Israele prima e di Gesù Cristo dopo, e tuttavia sempre all’interno e non al di fuori di quell’unica storia. Storia di salvezza e di lenta purificazione da ogni pesantezza dell’immaginario religioso, sempre incline a vedere Dio come pura onnipotenza, piuttosto come onnipotenza dell’amore, o meglio come Infinito Amore.
Troviamo nel nocciolo più determinante e più consapevole del Nuovo Testamento: “Dio è amore” (1 Gv 4,8) e troviamo anche “Se uno dice: ‘Io amo Dio’, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1 Gv 4,20). Su questa linea possiamo e dobbiamo arrivare alla conclusione: chi parla di un dio che non ama, ma che distrugge gli altri, parla di un dio bugiardo, che non può esistere. Consapevolmente o inconsapevolmente, diventa egli stesso un bugiardo. L’unico Dio che si dà è il Dio che si dona. Ma il Dio che ama e si dona può arrivare e di fatto arriva a dare la sua vita. Quando questa riflessione sarà davanti a voi, saremo ormai nella settimana santa. Santa di una santità inaudita, ma che è l’unica udibile: Dio si dona fino a consumarsi, per amore. Perché Dio è amore e non può darsi alcun altro Dio che non sia così, che non sia Costui.

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