Quando la mitezza è islamica e la violenza bestemmia in italiano
Rafeeq è un amico indiano. Un mite, un nonviolento puro. Con lui ho pregato nella moschea di Ostia. Con lui ho visitato alcuni dei luoghi in cui abitano le comunità migranti del litorale romano. Puntuale ad ogni incontro del Cipax, Rafeeq allestiva il suo banchetto per vendere bastoncini di incenso e provvedeva a profumare l’atmosfera. Ed era sempre pronto a parlarci della nonviolenza nella tradizione islamica e dell’immagine del Clemente e del Misericordioso nel Corano. Il mondo islamico è un arcipelago variegato e non un monolite indistinto. Giovedì scorso Rafeeq ha chiamato dal suo cellulare parlando a stento e tra i singhiozzi di un pianto sconsolato. Era ricoverato al San Giovanni in seguito ad un’aggressione subita nella metropolitana. Un giovane italiano, dopo aver inveito con parolacce perché si era seduto vicino a lui, lo ha aggredito con una testata e poi con calci e pugni. Rafeeq ora è ricoverato in ospedale in attesa di un intervento al setto nasale. Sicuramente si tratta di un gesto isolato, peraltro prontamente contenuto dagli altri viaggiatori, ma è anche il sintomo di un’aggressività accovacciata nervosamente dentro la coscienza (di molti o pochi?) e pronta a scattare alla minima ingiustificabile occasione, pronta a raccogliere un pretesto nemmeno esistente. Quando non è uno stadio o un insulto dall’automobile, anche un treno della metropolitana e uno straniero possono raccogliere il vomito della violenza. Salam alaykum.