DIRITTI

Democratizzare la salute

La riforma dell’OMS è un passo necessario: la salute è un diritto di tutti. Paesi poveri in primis.
Nicoletta Dentico

L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) è in crisi. Crisi di identità, prima di tutto, nel momento in cui nuovi e assai influenti attori si sono affermati sulla scena della salute globale, accanto ai governi. Ma anche acuminata crisi di gestione interna. Tale da mettere a dura prova l’operatività stessa dell’agenzia, nel momento in cui essa sembra aver perduto il controllo delle proprie finanze. La questione, discussa di recente a Roma in un primo tentativo di dialogo sul tema dell’OMS e di chi governa la salute del mondo, con la partecipazione di rappresentanti dell’Agenzia, del Governo italiano e del Parlamento, è piombata al centrocampo dell’arena negoziale già all’inizio del 2011. Fu allora che Margaret Chan, direttrice dell’OMS, prese in contropiede i 193 Stati Membri annunciando il proposito di imbarcarsi in una consistente ristrutturazione dell’organizzazione. Con raro coraggio, secondo alcuni. Con la sola intenzione di blindare la propria candidatura a un secondo mandato, secondo altri: un sospetto fondato, visto che la sua rielezione ha avuto luogo nel gennaio scorso senza candidati alternativi a lei. Tant’è. Si tratta di un passaggio storico per l’OMS, lo snodo più critico dai tempi della sua fondazione nel 1948: una riforma è necessaria, su di essa stanno puntando gli occhi con crescente attenzione tutte le persone che hanno a cuore le regole del gioco sulla salute. Perché?
L’OMS è malata, i sintomi sono numerosi e anche gravi: assenza di visione sul proprio ruolo, mancanza di coraggio e di leadership, scarsa trasparenza, un’immagine pesantemente ammaccata negli ultimi anni da ricorrenti episodi di commistione con l’industria farmaceutica (ad esempio, nella gestione della influenza A e H1N1, e nella scelta degli esperti di un gruppo di lavoro per l’innovazione medica). Con i conseguenti conflitti di interesse che questa commistione produce. Difficile forse parlare di indipendenza, quando ci si riferisce a organismi intergovernativi come le agenzie delle Nazioni Unite, senza peccare di ingenuità.
Quello che si può dire, tuttavia, è che l’autorevolezza dell’OMS è messa in dubbio dall’interno, nel momento in cui si riconosce che – sempre più spesso – la competenza tecnica dell’organizzazione deve essere di volta in volta negoziata politicamente con gli interessi degli Stati. Con esiti talvolta disarmanti. Ciò alimenta il crescente disimpegno e l’adattamento diffuso dello staff alle logiche geopolitiche dei “consensi” che, a turno, guidano il mondo – di gran voga, in questi anni di crisi, il Davos consensus, quello delle alleanze pubblico-private, per intendersi.

La crisi dei fondi
E poi c’è la crisi dei fondi, considerata da molti la vera spinta alla riforma. All’OMS mancano 300 milioni di dollari per far quadrare i conti; ma prima ancora di promuovere un’analisi reale della situazione, la Chan ha frettolosamente introdotto una politica di austerità per tagliare del 12% il personale di Ginevra (circa 300 persone) e ridurre il budget 2012-2013 di circa 600 milioni di dollari (3,96 miliardi di dollari) rispetto a quello del 2011-2012. La cifra del buco non sarebbe di per sé stratosferica, se i 193 Paesi membri ci investissero con convinzione nell’unica agenzia incaricata della salute mondiale. Purtroppo, alcuni governi hanno ammesso la reticenza al finanziamento di una agenzia poco trasparente e ondivaga, quando si tratta di politiche pubbliche. D’altronde, la salute è terreno terribilmente controverso, crocevia di interessi commerciali immensi (il secondo business per volume dopo quello delle armi): quale Paese ricco è davvero interessato a promuovere un’OMS politicamente forte e capace di far prevalere le ragioni della salute? Chi vuole un’agenzia in grado di tener testa alle lobby del cibo o dell’energia, alle multinazionali del farmaco o all’industria dell’alcool, solo per citare alcuni dei comparti industriali che, sulla salute, producono un impatto diretto e devastante?
Quale governo si azzarda a contrastare l’ideologia privatistica in campo sanitario, diffusa ormai ovunque dal vento neoliberista, soprattutto nei Paesi più poveri? Oggi, il core funding (finanziamento diretto) all’organizzazione non supera il 20% del suo budget, l’altro 80% è destinato a specifici progetti scelti dai Paesi finanziatori con priorità spesso discutibili, a discapito di altre questioni cruciali, un caso per tutti il dipartimento sulla proprietà intellettuale.

La crisi della salute
In questo vuoto – che è vuoto di politica e di democrazia, più che di governance – si muove con straordinaria abilità Bill Gates, invitato per la seconda volta in sei anni ad aprire l’Assemblea annuale dell’OMS, per lanciare “il nuovo decennio dei vaccini”. L’esortazione a salvare la vita di 10 milioni di vite entro il 2020 del miliardario americano, indizio eloquente su chi oggi definisce le strategie in materia di salute globale, rimanda direttamente alla riforma dell’OMS con un duplice significato. Bill Gates risultava lo scorso anno il primo (solo?) finanziatore del pacchetto di riforma dell’OMS, un fatto che ha suscitato immediate reazioni contrarie di molti governi. Inoltre, nel suo interessante dialogo con gli Stati membri, Margaret Chan ha messo in evidenza due cose degne di nota: in primo luogo, l’OMS deve strategicamente guadagnarsi una sua posizione, non può più pensare di governare e coordinare tutte le iniziative in corso sulla salute, data la molteplicità di attori in campo. La seconda questione riguarda la richiesta ai governi ad aprire un varco ai finanziamenti privati, per risolvere le difficoltà finanziarie del tempo presente e assicurare i finanziamenti futuri. Gates del resto partecipa oggi per il 10% del budget dell’OMS, e nel 2008 era il secondo contributore volontario dopo gli Stati Uniti (con 338,8 milioni di dollari).
Non c’è dubbio che una riforma sia indispensabile. Si tratta di un’opportunità unica per restituire all’OMS l’identità multilaterale prevista dalla sua costituzione, a fronte della crescente complessità delle sfide sanitarie del pianeta – basta pensare ai cambiamenti climatici globali. Ed è un passaggio critico per ripristinare la legittimità dell’agenzia, debilitata nell’ultimo decennio dalla irrefrenabile proliferazione di nuovi attori nel campo della salute, sulla spinta di un’imprenditorialità filantropica che impone il potere dei soldi sui veri bisogni delle popolazioni. Se finora l’approccio alla riforma è stato di impronta prevalentemente manageriale, la sveglia che è venuta ai governi in primo luogo dalla società civile ha animato la discussione in questi ultimi mesi e ha imposto una nuova direzione “politica” al delicato processo, che deve resistere a ogni facile tentazione privatistica.
Le fitte consultazioni proseguiranno a Ginevra in preparazione della Assemblea Mondiale della Salute in questo mese di maggio. Si tratta di garantire l’impegno serio degli Stati membri dell’OMS a guidare la riforma, e la costruzione di un percorso che assicuri il finanziamento pubblico alla sola entità nel mondo con il mandato costituzionale di promuovere il diritto alla salute per tutti. La posta in palio è altissima perciò non può restare chiusa nelle sale del negoziato.
Si tratta di decidere se l’OMS resterà il vero pilota delle politiche sanitarie mondiali, ovvero se farà da mero arbitro tra molti giocatori, in un campo della geopolitica globale decisamente inclinato a sfavore della salute.

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