EDITORIALE

Il 2 giugno agli italiani

La redazione

L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1 Costituzione Italiana).
Si apre così la Carta costituzionale italiana, definendo i tre caratteri essenziali del nostro Paese: repubblica, democrazia, lavoro.
Difficilmente, due ricorrenze sono così vicine tra loro, nei contenuti e negli orizzonti che svelano, come il 1maggio, festa dei lavoratori, e il 2 giugno, festa della Repubblica. Il 2 giugno, come ogni anno, festeggiamo la forma statutaria che prese avvio in quel giorno del 1946, e in cui venne votata, per la prima volta consentendo di recarsi alle urne anche alle donne, l’Assemblea costituente che due anni più tardi licenziò la Carta costituzionale.
Ci appare sempre più desolante, come una nota stonata, festeggiare questa ricorrenza con una parata militare. Perché, simbolicamente, la allontana dai valori che la nutrono. Ora tale stridore diventa insopportabile: democrazia e lavoro sono sotto attacco costante, aggrediti da un mercato finanziario che mercifica, tiene in ostaggio, e fa confluire a un sempre più esiguo numero di persone la gran parte delle ricchezze dell’intero pianeta. E se democrazia e lavoro sono in pericolo, anche la Repubblica lo è. “Ho sempre seguito con interesse e passione le manifestazioni e le lotte per il primo maggio”, ha affermato lo scorso 1 maggio mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano e presidente della commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. “Dico ‘lotte’, prosegue, perché con questo termine le chiama l’enciclica ‘Laborem Exercens’ di Giovanni Paolo II. Precisando, però, che si deve trattare sempre di ‘una lotta pro e mai di lotta contro’”. E, aggiunge: “oggi la lotta concreta più urgente è quella al precariato giovanile. Questo è ora il grande obiettivo di giustizia che ci coinvolge tutti, in ogni casa, davanti al futuro incerto dei nostri ragazzi… È un primo maggio, quest’anno, di sconforto …Eppure, proprio per questo è indispensabile ancor di più scendere in piazza, per dire alcuni precisi ‘no’ e altri concreti ‘si’”.
Ci riconosciamo pienamente in queste parole sulla cui scia si pone anche la Conferenza Episcopale lombarda che si è appellata “a tutti coloro che ne hanno la responsabilità, a procurare lavoro e a offrire prospettive perché sia dato di intravedere un esito a questo tempo di travaglio” (1 maggio 2012, Caravaggio).
Oggi, però, il diritto al lavoro e l’impegno a promuovere le condizioni che lo rendano effettivo è sempre più un’enunciazione vuota. O, peggio, un ostaggio della menzogna per cui crescita, flessibilità e possibilità di licenziamento sarebbero l’unica opportunità per offrire l’accesso al lavoro. Così come la rinuncia a qualsiasi diritto. Di rappresentanza, come sta accadendo per FIOM in FIAT. Di denuncia, come testimoniano gli ex dipendenti di Trenitalia dopo la soppressione dei treni notturni e dei tagli al personale dei call center. Di avere una giusta retribuzione, come è accaduto alle operaie della Golden Lady, la cui fabbrica ha chiuso i battenti per riaprirli in luoghi con un minor costo del lavoro.
In un periodo di crisi come l’attuale, in cui il lavoro e i diritti stanno pagando il costo più alto, la scelta di una parata militare per festeggiare la Repubblica ci sembra ancor più inopportuna, così come le stratosferiche spese militari che costantemente sosteniamo, ultima la commessa di 90 F35.
Restituiamo un volto civile alla Repubblica. Restituiamo il 2 giugno agli italiani. Ecco perché, vi invitiamo a leggere e firmare l’appello che alleghiamo e a spedirlo al Presidente della Repubblica perché cancelli il volto militarizzato che oggi si vuol associare alla nostra Repubblica e alla sua Festa.

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