Il Papa è triste
Il Papa è triste. Il Papa è affranto. Il Papa piange. Solerti comunicatori vaticani fanno a gara nel farci sapere quanto sta male il Papa a causa delle fughe di notizie dal suo appartamento. Possiamo capirlo. Ma non una parola sul contenuto dei documenti trafugati. Leggere la posta degli altri non sta bene, d’accordo. E spifferarla ai giornali sta ancora meno bene, d’accordissimo. Ma vogliamo dire qualcosa anche a proposito del contenuto dei documenti usciti dai sacri palazzi?
Possibile che, di fronte all’evidenza delle carte, nessuno provi un po’ di vergogna?
I fatti dicono che sul tavolo del papa arriva di tutto, e che in Vaticano uno degli sport più praticati è l’affarismo. Tutto questo deve passare sotto silenzio? E poi vogliamo parlare del linguaggio usato da questi curiali? Diciamolo francamente: è insopportabile e fa venire la nausea. Tutto il contrario della schiettezza evangelica.
Nessuno ha smentito quanto rivelato dal libro di Nuzzi. Questo è il punto. E se nessuno ha smentito vuol dire che quei testi sono veri. Vuol dire che l’appartamento papale è davvero il terminale di intrighi, ripicche, complotti, furbate più o meno riuscite. Vuol dire che il cuore della Chiesa è gravato da queste miserie, da queste meschinità.
Anche a noi spiace per il Papa. Ma il dispiacere per lui non deve indurci a nascondere la verità, anzi. Qui c’è una macchina curiale che non funziona, che produce per lo più sporcizia, che ingombra il tavolo del papa, del successore di Pietro, di cartacce che andrebbero gettate direttamente nel cestino e nemmeno degnate di uno sguardo. Lo schema di potere che ne emerge è fatto di raccomandazioni, di untuose richieste, di giochi e giochini tutti fondati sull’opportunità, se non sull’opportunismo, e non sulla verità.
Leggendo il libro Sua santità sono rimasto particolarmente colpito dalla lettera inviata dalla guida di Comunione e liberazione, don Julian Carron, per raccomandare al Papa l’elezione di Angelo Scola ad arcivescovo di Milano. Carron poteva benissimo sostenere la candidatura Scola, ma il fatto è che per appoggiare il suo amico distrugge a randellate gli episcopati di Martini e Tettamanzi con un livore e una mancanza di oggettività storica che lasciano sbigottiti.
Per trovare un documento pieno di verità bisogna rifarsi alla missiva indirizzata al Papa dal superiore dei gesuiti, padre Adollfo Nicolas, uomo davvero specchiato, che per esprimere il suo disagio trova una formula intelligente. Non volendo offendere il Papa, evita di esprimere in prima persona le sue valutazioni, ma lascia che parlino due laici, due benefattori della Compagnia di Gesù, i quali mettono coraggiosamente il dito nelle tante piaghe della Chiesa. I due, con dolore, fanno presente al Papa il numero crescente di fedeli che si allontanano dalla Chiesa gerarchica non riconoscendosi più in essa, dicono apertamente che in Europa vengono spesso nominati vescovi incapaci e ben poco santi, denunciano la “paura paralizzante” che regna tra i funzionari vaticani e il ruolo “centrale” giocato dal denaro per molti esponenti della stessa curia. Infine chiedono: “Dov’è la forza per combattere nella curia la tentazione del potere? Dove sono l’umiltà e la libertà donate dallo spirito?”. “Devo dire – commenta il padre Nicolas – che condivido le loro preoccupazioni e che sono molto edificato dal fatto che questi fedeli laici prendano così sul serio la responsabilità di fare qualcosa per la Chiesa”.
Ecco, queste sono le questioni sulle quali bisognerebbe interrogarsi. Ma nel dibattito di questi giorni, seguito allo scandalo della fuga di notizie, non c’è la minima traccia di una riflessione in proposito. Si preferisce tuonare contro il povero maggiordomo infedele e lanciare la caccia alle streghe. Si preferisce compatire il Papa piangente. Mai che si entri nel merito delle questioni sollevate.
Dove si pensa di arrivare per questa via? Dove si pensa di approdare chiedendo sempre e comunque obbedienza senza mai interrogarsi sui mali di una Chiesa che proprio nei suoi vertici mostra tanta corruzione interiore?
La magistratura vaticana farà le sue indagini e approderà alle sue conclusioni, ma a questo punto ciò che conta è ben altro. Mentre i presunti difensori del Papa invitano a non comperare il libro di Nuzzi, chi ha sete di verità deve chiedere che un dibattito sia avviato circa i contenuti del libro. Questo si potrebbe fare se nella Chiesa ci fosse un’opinione pubblica. Ma da troppo tempo i cattolici hanno perso l’abitudine al confronto e all’elaborazione di un pensiero originale.
Diceva don Mazzolari che lui, ai suoi parrocchiani, quando entravano in Chiesa, chiedeva di togliersi il cappello, non di levarsi il cervello. Oggi i cappelli non si portano più, ma anche i cervelli se la passano male.