Liberi perché fedeli

L’inattuale attualità di due uomini di frontiera: Balducci e Turoldo, di fronte alla Chiesa di ieri e di oggi.
Francesco Comina

Sono passati vent’anni dalla morte di padre Ernesto Balducci e padre David Maria Turoldo. Il mondo è profondamente cambiato. A voltarsi indietro sembra quasi di piombare in un’altra epoca. Altri erano i sogni e le speranze del 1992. Le profezie di un mondo riconciliato, di una politica finalmente libera dall’assillo del potere, della corruzione, della violenza dialettica, di una Chiesa solidale e fraterna, di una società senza vincitori né vinti, sembrano soltanto fuochi accesi sul pagliericcio. Intorno a noi domina l’individualismo, la rassegnazione, l’assuefazione, la parcellizzazione della società demoralizzata dal sogno infranto di una alternativa possibile. I giovani faticano a credere che nell’Italia del dopoguerra si muovevano uomini, dentro la Chiesa, che urlavano lo scandalo della povertà, che venivano condannati dai tribunali perché difendevano gli obiettori di coscienza, che denunciavano i prepotenti e si schieravano sempre dalla parte della pace contro i fautori della guerra.
Erano preti con i calzari ai piedi che si muovevano sul crinale della storia, come titola l’ultimo numero monografico di Testimonianze, un volumone di oltre trecento pagine dedicato al ricordo di padre Balducci.

Uomini di periferia
Forse uomini come Balducci e Turoldo si capiscono meglio dalla periferia. Il centro non gli appartiene. Ecco perché il convegno nazionale a loro dedicato si è tenuto in Alto Adige. Il Centro per la Pace del Comune di Bolzano ha pensato che l’inattuale attualità di questi due uomini di frontiera si rivelasse meglio in un territorio di confine. Così dal 20 al 22 aprile, il santuario di Pietralba (punto di riferimento della comunità dei Servi di Maria) si è fatto centro di dibattito e di rievocazione. Giorni intensi in cui i temi, le passioni e gli eventi che hanno accompagnato la vita di Balducci e Turoldo sono stati riproposti con il fascino e l’entusiasmo di un tempo.
L’introduzione è stata affidata all’immaginario di Liliana Cavani, che nei suoi film mette a nudo il dramma estremo degli uomini di frontiera e la potenza dei loro messaggi rivoluzionari capaci di buttare all’aria l’ordine costituito.
Balducci e Turoldo si muovono nel fuoco di questa profezia evangelica: “Padre Turoldo – ha raccontato la Cavani – l’ho visitato in quella chiesetta suggestiva dove visse l’ultimo periodo della sua vita. Aveva visto il mio primo Francesco ed ebbe modo di pronunciare parole molto belle su quello che aveva visto. Balducci presentò il mio Milarepa a Firenze. Cenammo insieme e ricordo che parlammo, con punti di vista diversi, sulla questione dell’Unione Sovietica”.
L’anno prima dell’uscita del film della Cavani sul Francesco interpretato da Mickey Rurke (1989) uscì la monografia di Balducci sul pazzerello di Dio, mentre Turoldo ha sempre mantenuto forti legami con il mondo del cinema da quando, nel 1963, girò il film “Gli ultimi” che ricostruisce le piccole storie dei contadini friulani nell’Italia fascista.
C’è commozione a Pietralba quando Fabrizio Truini proietta sullo schermo alcuni frammenti di interviste a Balducci e Turoldo. Due oratori eccezionali, “due giganti del pensiero”, come li ha definiti Moni Ovadia in un messaggio video fatto apposta per il convegno: “Figure come David Maria Turoldo e Ernesto Balducci – ha proseguito l’attore – hanno permesso di accendere la speranza di una relazione fra uomini fondata sulla giustizia sociale, sulla pace, sulla fratellanza, sulla solidarietà, sull’accoglienza perché hanno incarnato nel loro magistero questa dimensione del cristianesimo”.
Il fuoco del profetismo, ha aggiunto Ovadia, si è come assopito in questi tempi oscuri. “Profeti come Turoldo e Balducci ricordano al credente quale è il suo vero dovere, ossia non flettersi come un giunco in una preghiera svuotata di significato, ma portare la parola per accogliere, per dialogare, per riflettere la luce del volto altrui non come qualcosa che va omologato, ma come un qualcosa che dà dignità nel rispetto della sua radicale alterità”.
Disobbedienti
Turoldo ha cantato la salmodia della speranza. Balducci ha indagato i territori oscuri dell’Occidente per dire, al termine del suo testamento spirituale, che i giochi non sono fatti perché davanti ad ogni crisi epocale l’umanità ha saputo trovare la risposta creativa: “Che sui passaggi intermedi della sua nascita ci sia buio non fa meraviglia. Come scrisse Ernst Bloch, ‘ai piedi del faro non c’è luce’” (La terra del tramonto. Saggio sulla transizione).
Eppure, dopo vent’anni, non è la speranza ma un sentimento di ruvido pessimismo che emerge anche dalle riflessioni dei relatori. Qualcuno, sottovoce, parla di fallimento. Perfino Arturo Paoli, in un’intervista video realizzata a Lucca qualche giorno prima dell’incontro, rivela un senso di profonda amarezza rispetto a come si è sviluppata la storia italiana in questi ultimi vent’anni: “Quando penso a me, a Balducci, a Turoldo, a Mazzolari, a Carretto, negli anni Cinquanta, poveri ma pieni di ideali e guardo ora la realtà dominata dal capitale, non c’è una situazione di continuità. Siamo sotto una cappa di rassegnazione e di inerzia generalizzata. Non mi ricordo un periodo peggiore dell’Italia come quello che stiamo vivendo”.
Sul versante della pace le riflessioni di Mao Valpiana, Andrea Bigalli e Nandino Capovilla lasciano intendere come ci sia stato un riflusso di azione, dentro e fuori la Chiesa, rispetto al riemergere degli scenari di guerra aperti in tante parti del mondo. Valpiana lancia l’idea di partire proprio dal convegno di Pietralba per un’azione in grande stile contro la parata militare del 2 giugno, riservando il ricordo solo ai principi iscritti nella nostra Costituzione repubblicana. La proposta viene accolta: 2 giugno, scrivi anche tu “ripudio la guerra”.
Idem per la politica, che non ha nulla da spartire con alcuni esperimenti, che proprio intorno alla Badia fiesolana erano nati, di un cattolicesimo imbevuto di passione e di ideali: “Oggi la politica è succube dei rapporti di forza del capitale” ha spiegato l’economista cileno Rodrigo Rivas. “Dobbiamo pensare a un nuovo paradigma che sappia valorizzare il lavoro di Balducci e Turoldo per far crescere non tanto il Pil, ma un’etica degli abbracci e uno spirito di fratellanza orizzontale”.

La rivoluzione interrotta
Appassionato il dibattito intorno ai cinquant’anni del Concilio Vaticano II, “quella rivoluzione interrotta” come l’ha definita Raniero la Valle. Un Concilio – ha spiegato Luigi Sandri – che non ha concretizzato nulla sui punti chiave: la collegialità dei vescovi, il ruolo del popolo di Dio, la libertà religiosa, un ripensamento radicale sulla questione della forza e della guerra (La Pacem in Terris è stata una grande enciclica che in gran parte è rimasta pura intenzionalità): “Io sono convinto – ha detto Sandri – che sia auspicabile un Vaticano III per discutere in maniera profonda alcune questioni spinose che stanno emergendo come problemi radicali della società e dell’etica”.
Di diverso avviso mons. Bettazzi che, invece, auspica finalmente un’attuazione coraggiosa delle grandi novità che il vento caldo del Vaticano II porta con sé e che in molte parti non sono ancora fiorite.
“Con il Vaticano II il mondo è cambiato – ha detto forte La Valle –. La discontinuità si è manifestata nel come la Chiesa ha accettato la modernità: la scienza (con la scelta copernicana e darwiniana, Galileo e Giordano Bruno...), la democrazia, con cui si è dovuta confrontare, e il rapporto con le altre religioni, che non ha potuto evitare. Il Concilio, quindi, malgrado la Chiesa di Roma, è stato una rivoluzione perché ha accettato l’illuminismo, i lumi che in essa non erano ancora scoperti”.
Nel chiudere il convegno Enrico Peyretti e Giancarlo Bruni hanno cercato di attualizzarne il messaggio di Balducci e Turoldo dando una libera lettura di ciò che questi due testimoni della Chiesa e del mondo hanno scritto e predicato in mezzo secolo di vita.
Oggi torniamo a quei fuochi. L’acqua del postmoderno accende solo la nostalgia.

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