Frate focu
Il fuoco del roveto che ci conduce alla liberazione.
F come FUOCO, il fuoco del roveto ardente, il fuoco dell’amore, che è fede nella pace, unica via verso una felicità condivisa.
Francesco d’Assisi aveva cantato: “Laudato si’ mi Signore, per frate focu,/ per lo quale ennallumini la nocte,/ et ello è bello et iocundo et robustoso et forte”. Diventato povero tra i poveri, aveva contemplato quel fuoco nelle notti d’inverno, per riscaldarsi e l’aveva visto illuminare i volti dei “suoi” fratelli, che aveva contagiato con quell’altro fuoco che gli ardeva nel petto. Un fuoco incontenibile il suo, acceso da un Amore che non si spegne mai.
Su questo fuoco vorrei soffermarmi, anzi ad esso vorrei provare a riscaldarmi, e se possibile, farvi riscaldare un po’ insieme con me, perché se è vero che la pace è un compito, è non di meno un dono e come tale, oltre ad essere com-passione per gli altri, per le vittime della violenza e delle ingiustizie, è innanzi tutto e primariamente una passione, un fuoco travolgente che non dà tregua. In definitiva è il fuoco che, mirando alla pace, non dà pace né lascia in pace, perché, come diceva Gesù: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Sorprendendo quanti lo ascoltavano, il Maestro facitore di pace (Ef 2,14-15) aggiungeva: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre…” (Lc 12,51-53). Gesù fonte di divisione allora? Ma certo che no! Gesù non vuole la divisione, non è stato né sarà mai di essa la causa efficiente, per così dire: cioè colui che la progetta e la porta a esecuzione. Ne è stato e ne sarà ancora l’occasione, nel senso che chi verrà a contatto con lui, come chi viene a contatto con il fuoco, o si riscalderà o si brucerà. La sua venuta nel mondo non lascia indifferenti. La sua parola vive e si alimenta nella radicalità di un messaggio di pace, che però mette a nudo le ambizioni e la violenza nascoste nei cuori. Pertanto, fa venire alla luce ciò che l’uomo teme di più, e questo può provocare, e di fatto provoca non di rado, reazioni esagerate ed esagitate.
Era già successo con Erode, sì proprio l’infanticida che, per paura di perdere il trono, aveva decretato l’eliminazione dei bambini del territorio di Betlemme, nella speranza di eliminare Gesù. Possiamo, però, affermare che Gesù era stato l’artefice di tanta violenza? In nessun modo: responsabilità e perversione, violenza gratuita, barbarica e pianificata sono tutte da attribuire a Erode. Come succede con la luce, che fa vedere il male e i malvagi, ma non è essa a produrli, Gesù aveva solo fatto emergere ciò che c’era nel cuore di quel sovrano sanguinario. Come la luce, era stato l’occasione perché la violenza occulta di un tiranno divenisse palese. Proprio di Gesù Simeone aveva preannunciato, tenendolo tra le braccia: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione… affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”.
Risveglio
Chiarito questo punto non secondario, ma che appare a prima vista uno scoglio difficile da superare per chi si avventura nel mare aperto della pace, occorre dire che ai tanti focolai nascosti della violenza, o alle masse silenziose e rassegnate ad essa, si può solo rispondere con un fuoco più forte, con quello dell’amore di Dio. Con il fuoco che riscaldava il cuore di Francesco e ne trasfigurava il volto e con quello, che poi era lo stesso, che aveva chiamato Mosè da dietro il roveto ardente.
L’amore che bruciava in Francesco e che brucia in ogni uomo di pace, proveniva infatti da quel Dio dell’amore che è l’amore sussistente. Di questo amore “porta significazione” il sole, che è il fuoco più grande che per noi brucia più da vicino nel cosmo. Significazione come presa di coscienza e appello, come risveglio e missione. È il fuoco che chiama e manda, soprattutto laddove l’uomo è vilipeso e oppresso, dove la significazione di Dio, la sua immagine nell’uomo è calpestata.
Perciò, oggi come allora, chiunque si sente riscaldare da quel fuoco si sente chiamato, al pari di Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo… conosco le sue sofferenze… Sono sceso per liberarlo… Perciò va’! Io ti mando…” (Es 3,7-10).
Il fuoco dell’amore, per essere credibile e per non impantanarsi nelle secche del sentimentalismo o dell’auto-gratificazione pseudo-religiosa, deve diventare il fuoco del roveto che chiama alla liberazione. Non c’è, infatti, avventura autentica di libertà personale che non sia anche sforzo di liberazione per gli altri.
Ma ciò non avviene surrettiziamente, ma per un dinamismo interno all’amore che mentre si realizza, va sempre verso l’esterno e, come un fuoco vero, lentamente consuma chi l’avverte come bisogno irresistibile di amare l’altro, di amare oltre, di amare fino a non accorgersi di consumarsi per gli altri.
È questa la “religione” che attinge al vero Dio, all’unico esistente, al Dio che è tutt’amore e l’infinito Amore. Sicché essa è, il “troppo pieno dell’anima”, come ho trovato scritto in Georg Rimmel, che aggiungeva: “Non riempimento di un vuoto, bensì la sovrabbondanza della vita: è il surplus dell’uomo, è ciò che fa sì che oltrepassi se stesso non per il fatto di essere troppo piccolo per se stesso, ma per il fatto di essere troppo grande” (Saggi di sociologia della religione).
Se tale grandezza non è ripiegamento autocelebrativo né stordimento narcisistico, è allora il traboccare di un’esperienza, quella di chi, avendo avvertito di essere nei paraggi di Dio, ha immediatamente avvertito anche di non poter tenere tale ricchezza per sé. Ha sentito, con il grido degli oppressi, chiara e netta la chiamata a diffondere l’amore, dappertutto, cominciando lì dove l’uomo ne è stato privato e rischia di dissecare le sue radici più profonde: quelle che provengono da Dio e sovrabbondavano di vita.
Su questa strada, il fuoco è anche fede. Una fede che abbraccia Dio e l’uomo contemporaneamente. Una fede che è capacità di leggere criticamente, alla luce di Dio ciò che accade nella storia. Una fede che non vuole nuocere a nessuno, perché si sente contagiata e sorretta dalla stessa volontà di Dio: recare gioia agli uomini. È la buona notizia, è il Vangelo.