EDITORIALE

Sentinella delle nostre coerenze

Tonio Dell'Olio

Cara Melissa,
cara trasparenza di uno sguardo carico di futuro. Occhi pieni di una vita ancora tutta da scrivere e da raccontare. Caro sorriso speciale. Guardando la tua foto, che papà Massimo ha stretto tra le braccia per tutto il tempo della celebrazione del tuo ultimo addio, mi sono ritrovato a pregare con le parole di Guccini: "Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti, ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare...”.
Pregando con quelle parole non ho avvertito alcuna contraddizione col fatto che il tuo corpo fosse ormai ricomposto in una bara bianca. Piuttosto ho avuto la certezza che davvero adesso a te è dato di vedere ciò che a noi è oscurato da ombre e nebbie. Non a caso, nella nostra terra di Puglia, per indicare la vita oltre la vita si dice: il mondo della verità. Per questo mi sono sentito mendicante. Senz’altro del tuo sorriso da 16 anni e della tua giovane voglia di vivere, ma anche della verità in cui ora sei immersa e che noi non conosciamo. È stato in quel momento che ho smesso di pregare per te e ho cominciato a pregare te. A porgerti mani vuote che attendevano d’essere riempite. A chiederti pochi spiccioli di luce perché tu, che hai sperimentato la violenza improvvisa e brutale, meglio di chiunque altro puoi indicare a noi i segnali stradali che dobbiamo seguire per poter giungere a una scuola in cui la nonviolenza non sia un optional ma il filo rosso del sapere e del fare. Il punto d’osservazione della storia e l’unità di misura delle scelte future. La nonviolenza non solo come risposta efficace al terrore, ma anche come sua prevenzione. Ti ho chiesto umilmente di aprire il cuore di una Chiesa troppo spesso ripiegata nel liturgismo, nei cerimoniali e nelle devozioni perché scelga di stare di più sulle strade e sui marciapiedi delle scuole, dei bar, della vita. Soprattutto prima che le bombe esplodano. Ho chiesto la tua intercessione per le istituzioni politiche, lì rappresentate ai più alti livelli, ma assenti o addirittura latitanti quando si trattava di rinunciare all’uso della forza per dirimere questioni internazionali che vedono in primo piano gli interessi economici della nostra nazione.
Dentro di me – da quel momento – ti ho eletta a sentinella delle nostre coerenze, dogana delle nostre piccole e grandi ipocrisie. Ti ho implorato di richiamarci dalle nostre facili e frequenti distrazioni. E così il mio sguardo ha vagato tra quelli delle tue amiche e dei tuoi amici. Quelli che rivendicavano un posto in una chiesa affollata di autorità e forse più vuota dei sentimenti prossimi, del calore delle lacrime e dei ricordi. È stato lì che m’è parso di leggere le domande che un’intera generazione pone al mondo degli adulti. Di essere presi finalmente in considerazione. Non nei proclami d’occasione, non nelle dichiarazioni di principio, ma nelle politiche serie da avviare per l’occupazione, per una scuola che prepari alla vita e al lavoro, per fugare pregiudizi e luoghi comuni su un “parco giovani” solo apparentemente senza ideali e senza visioni. In quegli occhi lucidi non ho letto la disperazione, ma la voglia del cambiamento di un presente che appare blindato al futuro e, a volte, persino tragico. Lì ho compreso che la speranza non è al capolinea, ma piuttosto in cammino, alla sola condizione che le generazioni si pongano in ascolto le une delle altre, stipulando un patto nuovo in cui nonviolenza significa anche affermazione di diritti e riconoscimento di un cammino. Allora ho concluso la mia preghiera con le parole della canzone: "Dammi ancora la mano, anche se quello stringerla è solo un pretesto per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto; vola, vola tu, dov’io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare; (...) vola, vola tu, dov’io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare”.

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