Democrazia incompiuta
Perché il dissenso rispetto a un oggi normalizzato e silente abbia spazio.
Se la democrazia è un’istituzione fragile, probabilmente quella italiana lo è particolarmente. Democrazia “incompiuta” è stata spesso definita. È forse questa la definizione che ci sembra rivesta meglio il corpo sconquassato del nostro Paese. Perché non è mai stata capace, e non lo sembra tuttora, di presidiare le proprie istituzioni e di dotarsi degli anticorpi necessari al loro mantenimento. Non statico e immutabile, certo, ma capace di adattarsi ed evolversi allo scorrere del tempo mantenendo il proprio fondamento ontologico.
Tanti sarebbero i temi da trattare rispetto alla vita democratica “malata” del nostro Paese: dall’eversione stragista, corredata di ogni tipo di depistaggio e rigorosamente senza un colpevole, alle collusioni Stato/mafia; dalla P2 a Gladio, dal collasso della Magistratura al mantenimento del segreto di Stato sulle pagine più buie degli ultimi 50 anni, dagli attacchi al mondo del lavoro all’attuale legge elettorale (e più in generale alla profonda crisi della politica) fino alla crescente repressione del dissenso e alla criminalizzazione del conflitto.
Su questi ultimi due aspetti abbiamo deciso di focalizzare la riflessione, perché avvertiamo l’urgente necessità di una critica radicale alla normalità dell’oggi e sempre più angusti gli spazi in cui questa possa realmente esercitarsi. Angusti, criminalizzati e laceri, come spesso i sentimenti e i corpi di chi il dissenso ha cercato di viverlo e manifestarlo.
Parole troppo dure? Immagini troppo vivide?
Forse l’errore è proprio nel soprassedere, nel mitigare a priori le posizioni cercando di limitare il conflitto, nell’adattamento che opacizza il pensiero e si sfilaccia in “poltiglia” o in una società “testardamente replicante” come viene descritto l’attuale contesto italiano nell’ultimo rapporto CENSIS.
Quando ci leggerete probabilmente la Corte di Cassazione si sarà appena pronunciata sul processo alla Diaz… oggi ancora non ne conosciamo contenuto e valutazioni, ma sappiamo di cosa si trattò: per le strade di Genova, alla Diaz e a Bolzaneto. Sappiamo cosa accadde sei mesi prima a Napoli, quando al governo era insediato lo schieramento opposto. Sappiamo cosa accadde negli anni precedenti e cosa sta accadendo ora. E sappiamo che ci sono frangenti in cui le parole d’ordine sono repressione e impunità.
Bisogna allora guardare, ricordare, chiamare per nome – senza edulcorare e senza scontare – perché non sono queste le regole della democrazia. Ma sono quelle sistematicamente utilizzate nel nostro Paese nei frangenti in cui più forte è stata la critica e più insistenti e ampie le istanze di cambiamento. Sono regole che dobbiamo riuscire a cambiare.