RESISTENZE

Dio non uccide

Il premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel è venuto in Italia, su invito del Centro per la Pace di Bolzano, per presentare la prima biografia in italiano.
Il suo sogno? Un tribunale penale contro i crimini ambientali.
Francesco Comina

Dio non uccide. È questo il titolo della prima biografia italiana dedicata al premio Nobel per la pace argentino Adolfo Pérez Esquivel, in uscita a fine mese per la casa editrice Il Margine di Trento. Il libro, scritto dal giornalista bolzanino Arturo Zilli, ricostruisce la storia e la vicenda politica di uno degli uomini simbolo della difesa dei diritti umani. Il premio Nobel è venuto, all’inizio di giugno, in Italia su invito del Centro per la Pace del Comune di Bolzano per presentare il libro e affrontare una serie di problemi incombenti in America Latina e nel mondo, lanciando il sogno di creare un tribunale penale per i crimini ambientali, perché, ha spiegato, “oramai il nesso fra diritti umani e diritti ambientali è strettissimo e, dove i crimini ambientali vengono perpetrati, si spalanca immediatamente la porta dei diritti umani negati (inquinamento, sfruttamento delle risorse, guerra ai beni comuni, impoverimento...)”.
La voce di Esquivel si fa sentire sempre. Ogni attacco orchestrato dai potenti contro i diritti degli uomini e dei popoli viene denunciato da Esquivel attraverso le sue prese di posizione, ma anche con la presenza fisica nei centri dove infuriano i conflitti. Le ultime sue prese di posizione sono state durissime. Prima contro il governo cileno che ha autorizzato la giornata in ricordo del dittatore Augusto Pinochet. Esquivel ha inviato una lettera al presidente del Cile Sebastián Piñera: “Con sorpresa e dolore – ha scritto Esquivel – apprendiamo che il tuo governo legittima un atto di omaggio ad Augusto Pinochet e al colpo di stato dell’11 settembre del 1973, un fatto che ha inaugurato un periodo di oscurantismo e di dolore con un alto costo di vite umane”. Poi ha denunciato il “golpe” in Paraguay con la destituzione del presidente Lugo: “Quello che è accaduto in Paraguay fa parte di una scalata per imporre governi autoritari e dittature e impedire l’unità del continente, che si sta facendo largo attraverso la diffusione di governi democraticamente eletti, i quali pongono limiti all’espansione degli interessi delle grandi lobby economiche. Il colpo di stato, provocato in Honduras contro il governo di Manuel Zelaya, ha aperto la pratica dei colpi di stato istituzionali. Lo stesso metodo è stato utilizzato per il Paraguay”.
Esquivel dice quello che pensa e fa quello che dice, come direbbe il suo amico Eduardo Galeano. Ha resistito alle calunnie, al terrore, alla tortura, alla prigionia. I suoi occhi hanno visto il male, le sue mani hanno toccato la sofferenza più inaudita. Ma Dios no mata, Dio non uccide. Solo la prepotenza, la sete di potere, l’estasi di dominio e la paranoia dell’ordine tirano Dio nelle pieghe dell’ideologia religiosa negativa, facendone un idolo della paura, della morte e della vendetta. Accadde proprio così in Argentina negli anni Settanta quando un regime (sostenuto dalla più importante democrazia occidentale come gli Usa) si proclamava pubblicamente tutore del cristianesimo e nel contempo affilava le leve taglienti di una delle macchine più spietate del Novecento. I tentacoli di questa civiltà cristiana allevata al culto del dio sterminatore, perseguitò studenti, giovani, operai, contadini e anche l’altro versante della Chiesa, quella che aveva cercato di fare l’opzione preferenziale per i poveri secondo lo spirito della teologia della liberazione. Insomma, il Cristo del sistema uccideva il Cristo del Vangelo. Due Chiese adoravano Dio in maniera totalmente differente: da una parte quella schierata con i generali fatta di cappellani militari e funzionari del sacro, che chiudevano gli occhi e a volte approvavano la persecuzione in atto e dall’altra quella schierata con il popolo che veniva essa stessa repressa e uccisa, come accadde alla comunità dei Piccoli fratelli del Vangelo di cui Esquivel era un compagno di viaggio e di martirio.

Violenze
Ma Dios no mata, Dio non uccide aveva letto sui muri di una cella Esquivel nel 1977 quando venne scaraventato nel famigerato “tubo”, una prigione bassa, stretta e lunga due metri senza bagno, senza letto, senza nulla. In mezzo a tante scritte lasciate dai prigionieri torturati e probabilmente fatti sparire nei gorghi dell’oceano della memoria, ce n’era una che salvava Dio dalla furia sterminatrice dell’idolatria. Ecco come Esquivel ricorda quel momento in un passaggio del libro: «Restai come paralizzato, non potevo smettere di guardare né di sentire un tremore nel profondo dell’animo mentre le lacrime correvano sulle mie guance. “Dios no mata”, “Dio non uccide”, era scritto con il sangue. Una donna o un uomo, in quel momento limite della vita e della morte, nel dolore della tortura compì un atto di profonda fede e scrisse con il suo stesso sangue Dios no mata, Dio non uccide».
Esquivel, nonostante fosse già famoso, venne picchiato a sangue nelle celle dei maiali, torturato con le scariche elettriche, spaventato con i voli della morte con i quali altri giovani argentini furono scaraventati dall’aereo direttamente nell’oceano e dove si consumò una delle pagine più inquietanti della storia: la sparizione di 30 mila persone (i desaparecidos) e lo sterminio di migliaia di oppositori. Resistette finché poté, con le unghie e con i denti. Confidando nel Dio delle beatitudini, il Dio che non uccide. Ed è grazie a quella fede in quel Dio del “tubo” che sopravvisse e ne uscì vincitore con il premio Nobel del 1980, che suonò portentoso come una condanna e una umiliazione per la dittatura argentina.
Una storia commovente quella di Esquivel, che merita di essere consegnata ai più giovani perché sappiano quello che è accaduto pochi anni fa in un mondo ferito dalle ideologie di dominio asservite al puro interesse di mercato.
Il libro ha la prefazione della famosa pacifista austriaca Hildegard-Goss Mayr (moglie di uno dei grandi testimoni della resistenza francese, Jean Goss che poi fondò il Mir, Movimento internazionale per la riconciliazione). Hildegard è profondamente legata da vincoli di amicizia con Esquivel. Fu lei che mosse l’opinione pubblica mondiale sul caso Esquivel affinché gli conferissero il Nobel: “Il vecchio militante, che ha ormai superato gli ottant’anni – scrive la Goss-Mayr – è ancora sulle strade del mondo, testimone e profeta instancabile, sospinto dal suo smisurato amore per gli esseri umani e il creato nel suo complesso”.
L’introduzione è affidata al noto scrittore argentino Mempo Giardinelli, anch’egli vittima della repressione. La postfazione invece è scritta da Grazia Tuzi, la referente italiana di Esquivel per il Serpaj (il Servizio Pace e giustizia presieduto da Esquivel) che lavora per il recupero dei bambini di strada di Buenos Aires e per altri progetti sui diritti umani e diritti ambientali.

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