Il lavoro è un diritto
Un altro passo è stato fatto. La cosiddetta “riforma” del lavoro è stata approvata a larga maggioranza dei presenti. Tra forzature ideologiche e necessità di mediazione politica. Il tutto, per mandare gli attesi segnali a chi tiene in scacco l’Europa: le emotive paturnie dei mercati. Come un treno in marcia senza soste né fermate, la decostruzione di un sistema basato sui diritti e sulle garanzie costituzionali avanza.
Un processo irreversibile, per lo meno così lo si vuol presentare, come la sola ricetta possibile per affrontare la crisi del lavoro nel nostro Paese. Parlano di nuove regole per favorire lo sviluppo economico e nel contempo i dati statistici annunciano previsioni drammatiche dei tassi di disoccupazione, da assommare a quelle già feroci che attanagliano le nuove generazioni, frutto di un’antica e sempre nuova carenza di politiche industriali, a fronte di enormi carichi burocratici e fiscali. Motivano la riforma come strumento di rilancio del mondo del lavoro, ma nel frattempo le aziende chiudono a migliaia, ai cassintegrati si aggiungono i morti sul lavoro, per il regime di illegalità che infierisce tranquillo e i mancati controlli sulle misure di sicurezza adeguate, pur previste per legge in Italia. Parlano di riforma ma poi, nulla si fa per integrare lavoro e welfare a favore dell’occupazione femminile, fattore strutturale di crescita e di sviluppo, come provato dall’evidenza, ma ostinatamente trascurato in Italia. Privano della tutela della reintegrazione nel posto di lavoro tutti coloro che saranno licenziati per “motivi economici”. Salvo dimostrare l’intento discriminatorio del licenziamento, certo. In questo caotico rimescolamento di carte, che produce molto smarrimento nella società ma spesso anche tra gli addetti ai lavori, una cosa ci sembra di poter dire con chiarezza. Noi, il mondo, lo vediamo con altri occhi. Il lavoro è un diritto.
Lo è per la nostra Costituzione che lo definisce “un diritto” e che prevede che sia compito dello Stato rimuovere gli ostacoli per consentire a tutti di entrare nel mercato del lavoro. A tutti. Non a chi ha più strumenti o ricchezze. Salvo sancire anche, all’articolo 41 della stessa Costituzione, che la libera iniziativa economica deve essere correlata a fini sociali, non a un profitto scriteriato e discriminatorio che costringe sempre più i lavoratori a conquistarsi o mantenersi a denti stretti un posto di lavoro, in barba alle conquiste dei decenni passati. FIAT docet.
Tutto un quadro di garanzie e diritti viene poco a poco decostruito, come se rispondesse a un preciso disegno che si traduce nella drastica riduzione degli spazi di partecipazione, nel logoramento dell’assunto di uguaglianza, nell’erosione della democrazia… Dunque, in un sistema economico sempre più violento e sempre meno centrato sulla persona, lavorare e vivere dignitosamente è divenuto un privilegio.
Altro che diritto al lavoro come bene comune. Ai nostri giovani siamo costretti a spiegare che devono conquistarselo, il proprio posto di lavoro. Agonismo, competizione, senza guardare in faccia nessuno, se vogliono lavorare. E per favore, senza avanzare pretese. Perché oggi, a loro, non spetta più nulla. Perché a nessuno spetta più nulla. Il lavoro non è un diritto, dice la nostra ministra Fornero alla stampa americana.
Per non lasciarci strappare la nostra democrazia, i nostri valori, la nostra Costituzione e ciò che fonda la storia della comunità di questo Paese, serve tornare alla mobilitazione. Tutti e tutte. Con nuove forme e messaggi di verità. Per informare i cittadini e le cittadine. Per costruire insieme una visione del futuro dell’Italia sostenibile e creativa. Una visione che il nostro Paese ha saputo esprimere con energia, in passato, dopo una guerra terribile e senza le ricchezze di oggi.