Le armi non sono patate
Per quattro settimane presso il Palazzo di vetro dell’ONU si è parlato di armi convenzionali per arrivare alla formulazione di un Trattato sul commercio (Att, Arms Trade Treaty). Ma più che le parole e il faticoso negoziato, hanno potuto gli interessi di parte. Ha prevalso la pressione di Stati Uniti, Russia e Cina e non se n’è fatto nulla. Non è l’opinione dei soliti pacifisti e della rete di Control Arms, ma la dichiarazione ufficiale dello stesso Segretario Generale Ban Ki-moon: “L’incapacità della Conferenza di New York di concludere il suo lavoro sul tanto atteso Att, nonostante anni di sforzi condotti dai paesi membri dell’Onu e dalla società civile di tante nazioni, costituisce una sconfitta”. Un fallimento su un tema tanto delicato dovrebbe mettere in discussione persino il senso e il peso dell’ONU. Non era in gioco la denominazione di un formaggio, ma la possibilità di limitare la perdita di vite umane grazie alla restrizione degli spazi per il commercio di armi che non possono essere considerati alla stregua di altri prodotti. Anche l’Italia appare fiacca nella spinta per il Trattato perché le armi sono una sorta di fiore all’occhiello della nostra industria e non possono essere penalizzate. Meglio penalizzare le vittime.