Piazza Angelo Di Carlo
Quella di Angelo Di Carlo è il nome di un’altra di quelle storie che troppo velocemente e facilmente abbiamo rimosso dalla memoria d’inchiostro e dai siti della nostra coscienza collettiva. All’una di notte dell’11 agosto, quasi a non voler disturbare nemmeno il Parlamento in ferie, Angelo era andato a darsi fuoco in Piazza Montecitorio a Roma. Otto giorni dopo moriva nel letto di un ospedale romano a causa delle forti ustioni che si era procurato. Angelo è il simbolo più alto e drammatico delle vittime della crisi in corso, anzi dei sacrifici umani che il dio-mercato continua a pretendere e ad ottenere. A 54 anni Angelo era rimasto senza lavoro e con tre mesi di affitto e bollette in arretrato. Ogni altro commento appare spaventosamente superfluo di fronte al gesto che i giornali non hanno mancato di definire “insano”. Eppure Angelo De Carlo è il simbolo di una disperazione - gridata senza parole - in faccia alla politica soggiogata dall’economia, alla speculazione che detta leggi alla normalità, all’arroganza di chi scala i grafici della borsa di fronte a chi ha vita precaria. Che ci sia almeno un deputato o un consigliere in Campidoglio che propongano di dedicargli quella piazza. Una provocazione o una memoria che ci faccia vergognare o che almeno indichi al Palazzo per quale ragione varrebbe la pena farsi eleggere e deliberare.