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Entrar na caminhada

A 93 anni, Josè Maria Pires racconta 50 anni di Concilio, attraverso la “Teologia della zappa”.
Sergio Paronetto (Vice presidente Pax Christi Italia)

Sorridente, estroverso, verace, calmo e operoso. Vescovo nero per 30 anni nell’arcidiocesi del Paraìba (Nord est brasiliano). Amico di Helder Camara, vescovo di Recife, con cui ha condiviso slanci e dolori. Uno dei protagonisti della teologia-pastorale della liberazione brasiliana. Oggi a 93 anni parroco nella sua terra natale, a Còrregos nel Minas Gerais. Josè Maria Pires rappresenta il Concilio vivente in terra brasiliana. Domenico Romani, prete mazziano suo collaboratore a João Pessoa, ci presenta un libro non tanto a 50 anni dal Concilio ma sui 50 anni di Concilio realizzato nel Paraìba. Attivo durante gli anni conciliari (1962-1965) a Roma, dove era chiamato don Pelè, Pires ricorda con gioia Giovanni XXIII e il “patto delle catacombe” per la povertà, ma ritiene che il vero inizio del Concilio sia stata la Conferenza episcopale di Medellìn (1968), con la scelta preferenziale dei poveri, seguita poi dall’assemblea di Puebla (1979). In piena dittatura militare (cominciata nel 1964), osa aprire nel 1976 il primo Centro latinoamericano di Difesa dei Diritti umani, intesi, di fatto, come tutela dei diritti dei poveri continuamente perseguitati.
Josè Maria Pires ha pro-mosso e animato tante Comunità Ecclesiali di Base (Ceb) e Centri per la coscienza indigena e nera. La sua Missa da Terra sem males e la Missa dos Quilombos, esperienze liturgiche di “inculturazione” ispirate al profeta Geremia e alle Beatitudini, oltre che alla vita quotidiana, sono state fortemente contestate in ambito tradizionalista-curiale ma vengono poi riconosciute valide alla Conferenza di Santo Domingo del 1992. Con lui, accanto alle Ceb, si muovono il lavoro educativo col Movimento Educazione di Base (Meb), ispirato a Paulo Freire, l’azione sindacale del deputato Francisco Julião, le attività del Movimento Sem Terra (Mst) voluto dalla Pastorale della Terra della Conferenza dei vescovi brasiliani (Cnbb).
A don Zumbi interessa “la teologia della zappa” per persone formatrici nelle comunità, pronte a “imparare facendo”. In tale opera di liberazione, protagonisti sono i poveri “educati alla parola”. La Chiesa è “obbligata a stare dalla parte dei poveri per stare dalla parte di Cristo”. Evangelizzazione, allora, vuol dire orientarsi all’“azione trasformatrice” anche con piccole “comunità abramiche” seminatrici e zappatrici di buone novelle.
Per Pires il Concilio è stato una sintesi di ritorno alle sorgenti e di profondo rinnovamento. È cambiata la visione di Chiesa. Lo colpisce il respiro universale del numero 13 della “Lumen Gentium” dove il popolo di Dio viene presentato come relazione umana e creazione di un “nuovo e universale popolo dei figli di Dio” che prefigura e promuove la pace universale. Due restano per lui i campi conciliari ancora incoltivati: quello della donna e quello del ministero ordinario che dovrebbe contemplare uomini sposati. Purtroppo, la Chiesa non sa essere sempre profetica, si lascia andare a esibizioni di spettacolo religioso che la allontanano dalle sue radici e dalla prospettiva del Regno.
Per don Zumbi, il Concilio ha aperto tante strade. Occorre camminare e scavare, realizzando esperienze conciliari. Bisogna entrar na caminhada, fiduciosi per un’opera nonviolenta continua con cui è possibile “vincere tutte le persecuzioni”. Il testo ci presenta una persona viva, testimone di un Concilio pulsante tra noi.

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