IRAQ

Niente più violenza

Da una terra insanguinata come l’Iraq giunge l’anelito alla pace e all’impegno comune per un dialogo possibile. La presenza di Pax Christi accanto alle popolazioni e alle Chiese irachene.
Pax Christi IItalia

Lo scorso mese di luglio, sono giunte in Italia drammatiche notizie dall’Iraq che raccontavano di un centinaio di morti, alcune centinaia di feriti a Baghdad, a Kirkuk e in diverse altre città. La notizia ha riaperto una ferita nel cuore e nella memoria di tutti coloro che sono legati all’Iraq e alla sua gente che vive tra lacrime e fuoco. In questa occasione, Pax Christi ha diffuso un comunicato, che riprendiamo per farne memoria. Per ripartire verso nuovi possibili sentieri di solidarietà.

“Noi di Pax Christi siamo stati molte volte in Iraq.
Prima, durante e dopo la guerra. L’ultima volta circa un anno fa, con una delegazione guidata dal presidente mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia.
Quando non si parla più di una situazione che ha vissuto per anni guerre e tragedie, si rischia di pensare che ormai tutto sia tranquillo. Questo vale anche per la Bosnia, l’Afghanistan, la Palestina e per molte zone dell’Africa e del mondo intero.
Il sapere che numerose esplosioni hanno seminato ancora morte e dolore. Il parlare con i molti amici che vivono in quella terra, come mons Sako e mons. Warduni, ci fa sentire più coinvolti. E ci invita a non tacere. A esprimere vicinanza a tutte le vittime, di ogni popolo e di ogni religione.
Siamo nel mese del Ramadan, un tempo privilegiato e intenso di preghiera, di perdono e di riconciliazione.
“Chiediamo a tutti – scriveva nel 2009 mons. Sako, vescovo di Kirkuk – di impegnarsi in un dialogo fraterno, sincero e costruttivo, al fine di trovare una soluzione praticabile per la salvaguardia della sicurezza del popolo, per la stabilità della città e per la pace nel Paese. La violenza non ha mai portato ad alcuna soluzione duratura dei problemi, anzi sempre è stata nutrimento per la vendetta e occasione di maggiori lutti”.
Al dolore per le vittime delle bombe si aggiunge la preoccupazione per le numerose famiglie irachene che dopo essersi rifugiate in Siria ora ritornano, fuggendo dalla Siria dove hanno perso tutto.
Da una terra insanguinata a una terra violentata. Accomunate, forse, da un connivente silenzio.
Certo, la nostra voce è debole e disarmata, ma non ci rassegniamo alla logica della guerra e delle bombe. Non vogliamo lasciare soli i nostri amici della terra di Abramo.
L’invito al dialogo, al rispetto, al rifiuto della violenza e della guerra per un cammino di pace, intendiamo rivolgerlo non solo a chi vive in Iraq o a chi, nelle sedi istituzionali, può operare per la pace.
Anche nelle nostre realtà è possibile fare gesti concreti di rispetto e di incontro, ad esempio riconoscendo e accompagnando i gesti di religiosità presenti nel mondo islamico, come il Ramadan.
Badiamo a non cadere in gesti di intolleranza, e vegliamo accanto ad ogni vittima di violenza e di guerra, gridando le ragioni della speranza nella pace”.

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