MOVIMENTI

Per l'acqua bene comune

Preti, missionari, singoli credenti, parrocchie e Ong di ispirazione cristiana sono parte attiva del movimento italiano per l’acqua bene comune.
Quali le caratteristiche di questa militanza?
Emanuele Fantini (Giornalista, ricercatore presso l'Università di Torino)

Diversi eventi degli ultimi mesi – il forum di Todi, la caduta del governo Berlusconi – hanno contribuito ad alimentare le riflessioni sul “risveglio dei cattolici” e il dibattito sulle caratteristiche che dovrebbe assumere il loro impegno in politica per superare l’“afonia”, l’“irrilevanza” e il “disagio” degli ultimi anni. L’attenzione si è concentrata prevalentemente sui vertici delle gerarchie politiche e istituzionali o sull’ipotetico ritorno del “partito dei cattolici”, tralasciando l’analisi di significative esperienze concrete di militanza e partecipazione politica della base – con i loro successi e le loro fatiche – che pure negli ultimi tempi non sono mancate.

Una presenza importante
La mobilitazione per i referendum di giugno 2011, e in particolare per i due quesiti sull’acqua, è sicuramente tra queste: non solo per il raggiungimento del quorum dopo 14 anni e 24 consultazioni referendarie fallite, ma anche perché i quesiti referendari sull’acqua sono stati i primi a non essere promossi da partiti, ma da un comitato composto da realtà civiche e associative, e gli unici ad aver raggiunto la cifra record di 1 milione e 400 mila firme di sostegno. Ciò in virtù della capacità di consolidare, all’interno del Comitato referendario, 2 SI per l’Acqua Bene Comune e del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, una coalizione ampia e plurale che comprende social forum, Ong di cooperazione internazionale, ambientalisti, associazioni di consumatori, comitati civici territoriali, sindacati, enti locali e numerose realtà del mondo cattolico.
Al Comitato referendario hanno, infatti, aderito le ACLI, Focsiv-Volontari nel mondo, Pax Christi, Beati i costruttori di Pace, CIPAX, la Conferenza degli Istituti Missionari, oltre a diverse diocesi e parrocchie. Gli scout dell’Agesci, così come il Jesuit Social Newtork, hanno sostenuto dall’esterno il comitato referendario. Sull’acqua si sono concentrate le energie di quei cattolici particolarmente sensibili al tema della giustizia sociale ed ecologica, che si ritrovano anche nella Rete interdiocesana sui nuovi stili di vita, che conta 67 diocesi ed è animata dal missionario saveriano Adriano Sella, a cui si deve la campagna “Acqua dono di Dio e bene comune”.
Questa e altre azioni di sensibilizzazione hanno spinto numerose diocesi e parrocchie ad invitare a “recarsi alle urne”, ribadendo il “dovere di tutti di partecipare al voto”, spesso senza nascondere il proprio orientamento favorevole ai quesiti referendari. La mobilitazione per l’acqua sembrerebbe così aver superato il confine di quel nucleo di cattolici tradizionalmente impegnati sui temi della giustizia sociale, per estendersi alla maggioranza generalmente più silenziosa di parrocchie e singoli credenti che, nell’occasione, hanno partecipato alla “campagna leggera” praticata dal quel 16% di cittadini che, privi di precedenti esperienze di militanza politica, si sono attivati per il referendum attraverso formule di partecipazione non tradizionale, informale, spesso individuale.

Dono di Dio
Questo impegno è stato ispirato e legittimato dai principi della Dottrina Sociale della Chiesa, secondo cui “in quanto dono di Dio, l’acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e pertanto un diritto di tutti. L’utilizzazione dell’acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà. L’acqua, per sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. Il diritto all’acqua, come tutti i diritti dell’uomo, si basa sulla dignità umana e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa §484 e §485). Principi riaffermati in numerosi messaggi e testi di Benedetto XIV, ad esempio nella “Caritas in veritate”, e ribaditi, nei mesi precedenti al referendum, nelle dichiarazioni ufficiali di diversi vescovi, come il Segretario generale della CEI mons. Crociata o il segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, mons. Toso.

Quale impegno?
Al di là dei pronunciamenti ufficiali, una prima caratteristica dell’impegno dei cattolici sul tema dell’acqua è stata la spontaneità della mobilitazione. In linea con le modalità d’azione dell’intero movimento, in cui esiste un coordinamento nazionale, rappresentato dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che resta tuttavia frutto di un’aggregazione dal basso, rispettosa della pluralità e dell’autonomia delle singole realtà che la compongono e della loro indipendenza dai partiti e dalle istituzioni. Analogamente, la partecipazione dei cattolici al movimento non è stata organizzata dall’alto, in particolare dalla gerarchia ecclesiastica, come invece avvenuto nel precedente referendum sulla procreazione assistita.
In secondo luogo, si è trattato di una partecipazione plurale, a cui i differenti soggetti hanno contribuito a partire dalle specificità dei rispettivi carismi: chi puntando sulle capacità di organizzazione e mobilitazione per la raccolta firme, chi approfondendo la dimensione educativa, chi allargando l’orizzonte della questione ai temi più generali dello sviluppo sostenibile e della solidarietà internazionale. E in questa pluralità non vanno dimenticate le posizioni discordanti e le voci critiche rispetto al referendum. Comunione e Liberazione, ad esempio ha mantenuto un profilo basso o indifferente, che nel caso del referendum, in cui è essenziale mobilitare gli elettori per raggiungere il quorum, equivale implicitamente a un voto negativo.
In terzo luogo, la natura stessa del tema e la valenza simbolica della risorsa acqua, hanno favorito il carattere ecumenico della mobilitazione, facilitando il dialogo e la collaborazione, sia con i credenti di altre fedi che con le realtà del mondo laico, secondo modalità decisamente meno laceranti rispetto al dibattito sulle questioni in cui entrano in gioco i valori considerati “non negoziabili”, ad esempio quelle bioetiche.
L’insieme di queste caratteristiche si è tradotto in una partecipazione quasi mimetica dei cattolici al movimento per l’acqua: non tanto un “esserci per contare e per contarsi”, quanto piuttosto la volontà di contribuire a un obiettivo generale che travalica identità e appartenenze specifiche, nello spirito più genuino del “bene comune” cui la mobilitazione per l’acqua costantemente si richiama. Da qui l’inevitabile frammentazione della presenza dei cattolici nel movimento e la difficoltà di discernere la specificità e l’entità del loro contributo. Di sicuro, in virtù dell’approccio della Dottrina sociale della Chiesa e della valenza simbolica che l’acqua assume nella tradizione spirituale cristiana – ma non solo –, la partecipazione di numerosi soggetti del mondo cattolico ha contribuito a declinare il tema dell’acqua non solo in termini di dibattito tecnico sulla gestione dei servizi idrici in Italia, ma nel contesto delle più ampie questioni dello sviluppo sostenibile e della solidarietà internazionale, prestando anche attenzione alla dimensione culturale e simbolica del problema.
La mobilitazione per l’acqua pubblica ha finito così per trasformarsi in battaglia paradigmatica per la difesa della democrazia e dei beni comuni. Resta da capire quali spazi e quali energie sono disponibili per estendere i tratti più positivi di questa esperienza ad altri ambiti di impegno dei credenti nella politica e nella società.

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