Per la dignità di tutti
Come ogni anno, il Rapporto annuale di Amnesty International fotografa la situazione dei diritti umani nel mondo per l’anno precedente. È il risultato di un lungo e complesso lavoro di raccolta di dati, ottenuti dalle denunce ma anche con missioni specifiche sul campo, che affianca quello più operativo su singoli casi e campagne tematiche. Il testo, acquistabile ma anche consultabile on line sul sito dell’organizzazione, è un punto di riferimento assoluto per chiunque si impegni per la giustizia nel mondo. Nella presentazione il 2011 viene definito come “un anno prorompente”, “un anno di svolta per l’attivismo” e insieme un anno che evidenzia “l’endemico fallimento della leadership a livello locale e globale” nel proteggere i diritti umani. Il testo, infatti, “testimonia non solo la sofferenza di coloro che vivono all’ombra delle violazioni dei diritti umani, ma anche l’ispirazione di coloro che decidono di agire, spesso a grande rischio personale, per assicurare diritti umani e dignità a tutte le persone”.
Abbiamo chiesto a Riccardo Noury, direttore dell’Ufficio Comunicazione Amnesty International – sezione italiana, una valutazione delle tendenze generali che emergono dal Rapporto.
R. N.: Uno degli elementi nuovi fondamentali che abbiamo riscontrato è una domanda di diritti umani, di giustizia, di fine della discriminazione che emerge in molte aree del mondo. È stata una domanda spontanea presentata nelle piazze, nelle strade di decine e decine di città del mondo. Le proteste, iniziate nell’Africa del Nord, si sono collegate ai movimenti per chiedere riforme e soluzioni eque alla crisi economica che ha attraversato le capitali europee e delle Americhe, e alle proteste contro l’autoritarismo in Russia e per una maggiore libertà in Cina. A questi movimenti si è risposto con indifferenza, ma più spesso con la repressione e con gravi violazioni dei diritti umani; il più evidente esempio è in Siria. Resta il segnale forte delle richieste portate nelle piazze.
Nella situazione italiana sono state rilevate variazioni significative rispetto alle aree a rischio già denunciate da Amnesty?
R.N.: Restano segnalati i tre ambiti già individuati nel Rapporto precedente. Rom: la cosiddetta “Emergenza nomadi”, che ha prodotto centinaia di sgomberi a Roma e a Milano, con conseguente violazione del diritto all’alloggio e di quello all’istruzione. Nonostante sia stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato nel novembre scorso, è tuttora, di fatto, in vigore poiché il governo Monti ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza del Consiglio di Stato e questi l’ha sospesa. Ecco un primo segnale di mancata discontinuità tra il governo attuale e quello precedente.
Il secondo elemento di mancata discontinuità è il tentativo di riproporre uno schema di accordo di cooperazione con la Libia in materia di controllo del flusso dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Il ministro Cancellieri ad aprile è andato a Tripoli: cosa abbia firmato o su cosa si sia impegnata non è noto. Pretendiamo di conoscere di cosa si tratti e di questo clima di non trasparenza negli accordi con la Libia, perché questo vorrebbe dire rischiare di tornare al modo di procedere degli anni passati.
Terzo argomento: il Rapporto contiene un aggiornamento della situazione dal punto di vista dei processi e delle inchieste su violazioni dei diritti umani che chiamano in causa le forze di polizia. In alcuni casi ci sono stati avanzamenti dei processi e riconoscimento del fatto che sono successe cose gravi. Penso al caso di Gabriele Sandri, che ha visto la Cassazione confermare la condanna per omicidio nei confronti di un agente di polizia, così come alla sentenza d’appello sul caso Aldrovandi, in cui è stato confermato il verdetto di colpevolezza contro quattro agenti per omicidio colposo. C’è stato un nuovo caso, un cittadino di Milano, Michele Ferrulli, su cui partirà l’inchiesta, così come è partita quella per la morte di Aldo Bianzino nel 2007. Il processo sulla morte di Stefano Cucchi è andato avanti. Il tutto avviene in un grave vuoto legislativo derivante dalla mancata introduzione, per un altro anno ancora, del reato di tortura nel Codice penale. L’Italia ha un ritardo di quasi un quarto di secolo - 24 anni: dal 1988 ha l’obbligo di introdurre questo reato e manca ancora! Questo getta un’ombra sulla reale volontà dell’Italia di rispettare i suoi impegni internazionali in questo ambito. Non è l’unico caso, ma certo è significativo. L’esistenza del reato di tortura può fare la differenza nei processi su casi di violazione dei diritti umani.