AFRICA

Il sogno di Sankara

Nel venticinquesimo anniversario della morte violenta di Thomas Sankara, ripercorriamo le sue tracce e la rivoluzione che ha compiuto in Burkina Faso.
Valentina Bartolucci & Claude Chanel Ouedraogo

Il Burkina-Faso, prima conosciuto come Alto Volta, conquistò l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Gli anni Settanta e Ottanta furono caratterizzati da ripetuti colpi di Stato, malcontenti sociali, scioperi e dimostrazioni di massa. Il Capitano Thomas Sankara salì al potere nel 1983, con un colpo di Stato senza spargimenti di sangue. Nel 1984, il Paese venne rinominato ‘Repubblica del Burkina-Faso’, il Paese degli Uomini Integri. La Rivoluzione di Sankara è però breve. Il 15 ottobre 1987 Thomas Sankara viene ucciso assieme a dodici ufficiali in un colpo di Stato. Blaise Compaoré sale al potere. Alle elezioni multipartitiche all’inizio degli anni Novanta è eletto presidente del Burkina-Faso senza opposizioni, e così per altri quattro mandati, mantenendo il potere fino a oggi, scampando anche al tentato colpo di Stato del 2003. Tuttora non è stata fatta completa chiarezza sull’uccisione di Sankara: rimangono dubbi soprattutto sui mandanti dell’omicidio e sui torbidi motivi e interessi che vi erano dietro e che hanno inquinato e inquinano tuttora la vita politica del Burkina-Faso.

Una speranza recisa
Thomas Sankara è stato presidente del Burkina-Faso dal 4 agosto 1983 al 15 ottobre 1987. Stagione breve ma intensa: significativa, rivoluzionaria e, a suo modo, profetica. Parlando di lui, si è parlato di sogno spezzato, speranza recisa, incidente chiuso. Qualcuno ha sperato e molti hanno temuto che con lui fossero state sepolte anche le sue idee, il suo modo di fare politica, il suo sogno rivoluzionario.
Si ritiene, invece, che il suo sangue non sia stato sparso invano. Il suo sogno, è vero, non si è ancora propriamente realizzato, ma non è scomparso. Anzi, paradossalmente, i “poteri” che hanno eliminato fisicamente la sua persona, hanno recuperato e mantenuto in vita alcune sue idee innovative, un po’ per amore, un po’ per forza o, detto in altro modo: un po’ per convinzione e un pò per necessità.
Sankara aveva mostrato al popolo una strada nuova e virtuosa da percorrere; con una vera e propria azione pedagogica aveva iniziato ad aprire gli occhi alla gente in particolare ai contadini (il 90% della popolazione del Burkina-Faso). Questi hanno recepito il messaggio profondo con cui Sankara aveva dato loro una speranza, una voglia di fare, un coinvolgimento attivo per diventare protagonisti della loro vita e del loro sviluppo: non attendere passivamente la salvezza da “altri” ma diventare attori consapevoli del proprio riscatto. La sua lotta ideologica contro l’imperialismo (“di fuori”: da parte delle potenze occidentali, e “di dentro”: delle istituzioni del costume tradizionale) e contro la povertà endemica hanno fatto di lui il ‘Che Guevara africano’.
Quando Sankara, forte della sua onestà intellettuale e profonda moralità, ha indicato al suo popolo le cause del loro sottosviluppo, ha lottato per la giustizia sociale, ha consapevolmente diffuso la presa di coscienza della loro dignità, ha sparso dei semi che faticosamente stanno germogliando e di cui si intravedono i primi frutti.
Alla base di tutto il suo programma c’è la convinzione profonda che bisogna coinvolgere le masse: la sua Rivoluzione necessita di militanti di quartiere, di villaggio, di tutti e di ognuno. È così che nascono i Comitati di Difesa della Rivoluzione (CDR) con la missione politica di coscientizzare le masse, quella socio-culturale-economica, di impegnarsi nel lavoro collettivo per la società, e quella militare per difendere la Rivoluzione. La scommessa della Rivoluzione Burkinabè si gioca tutta nel campo dell’agricoltura, dell’istruzione e nella rivalutazione del ruolo della donna.

Missione agricoltura
Per quanto riguarda il primo punto la questione è veramente complessa. L’agricoltura dell’Africa sub-sahariana è particolare: a causa della scarsa fertilità dei suoli (e delle scarse piogge), è tipicamente itinerante e ciò si ripercuote nel ritardo della formazione degli Stati rispetto all’Asia e all’Europa. È questa la forza-debolezza dell’agricoltura dell’Africa sub-sahariana, derivante non solo dalla “storia” (soprattutto l’influenza europea) ma anche dalla “natura”(il clima e l’ambiente). Sankara capisce che per uscire dal sottosviluppo bisogna partire dai due aspetti – coniugare “natura” e “storia”: affrontare il deserto, il problema climatico, ma anche la cultura mediatrice di usanze ancestrali, a volte controproducenti. Dirà Sankara: “La lotta contro la fame e quella per la riforma della società burkinabè sono intimamente legate”. Bisogna affrontare insieme, insomma, i problemi ambientali e quelli socio-politici. Sankara promuove così l’elaborazione di un piano di sviluppo (il celebre “piano quinquennale”) non elaborato o imposto dall’alto, bensì – e questa è la sua grande intuizione – elaborato collettivamente dai contadini mediante assemblee di villaggio. Non meno rivoluzionario è il metodo di reperimento dei finanziamenti necessari al piano, basato su tre modifiche economiche: diminuzione delle spese fisse di funzionamento (personale, burocrazia) con conseguente aumento delle spese per investimenti; dei prezzi agricoli come fonte di autofinanziamento del mondo rurale; ricorso al finanziamento estero.
Sankara indica l’integrazione di questi tre metodi per un approccio sostenibile al problema agricolo. Ha dalla sua parte la gente dei villaggi, ma urta certi interessi: la sua lotta contro i commercianti speculatori è aspra; deve anche combattere contro alcuni pregiudizi e usanze ancestrali ben radicate, legate alla tradizione, tipiche della cultura e dell’economia “itinerante”. Promuove un’economia “eco-sostenibile”, contrasta il taglio selvaggio degli alberi e la libera circolazione degli animali allevati e promuove il rimboschimento. “Produciamo e consumiano burkinabé” diventa uno dei suoi slogan ufficiali. Invita i suoi ministri a indossare i tessuti locali. Se la cancellazione del debito internazionale (ottenibile se richiesta all’unisono da tutte le nazioni africana) non gli fu possibile, gli riuscì invece l’obiettivo di dare 10 litri d’acqua e due pasti al giorno a ciascun abitante. Sankara diceva di preferire un “aiuto che aiuti il Burkina a fare a meno dell’aiuto”.

Missione istruzione
Per quanto riguarda l’alfabetizzazione e l’istruzione resta sempre più valido il suo pensiero di fondo: contrariamente a tanti regimi non solo africani che vedono nell’ignoranza delle masse lo strumento privilegiato del loro potere, Sankara, pur fra mille difficoltà, consegna importanti risultati: si batte per un’educazione diffusa, anzi universale. Aperta anche alle donne.
Siamo così al terzo punto: la donna. La Rivoluzione d’Agosto toglie questo problema dal limbo ipocrita del silenzio della tradizione per portarlo sulla scena africana, innanzitutto lottando contro la pratica dell’infibulazione combattendo le mutilazioni sessuali legate alla cultura delle popolazioni. L’unico capo di Stato che in Africa occidentale ha il coraggio di definire “barbara” tale pratica è proprio Sankara. Non meno grave è il problema della prostituzione giovanile che Sankara affronta lanciando un programma di educazione sessuale nelle scuole e facilita l’accesso ai contraccettivi abbassandone i prezzi. Mette anche mano al nuovo codice familiare che prevede, fra le altre cose, l’obbligo della monogamia e l’uguaglianza femminile in termini ereditari. Rende inoltre possibile il diritto al divorzio per le donne e per di più in tempi brevi. Nel suo famosissimo discorso dell’8 marzo del 1987, intitolato “La Liberazione della Donna: Un’Esigenza del Futuro” dirà: “La nostra società ancora troppo primitivamente agraria, patriarcale e poligamica, fa della donna un oggetto di sfruttamento per la sua forza lavoro e di consumo, per la sua funzione di riproduzione biologica”. Per Sankara è necessario costruire una società libera e prospera, dove la donna sia uguale all’uomo in tutti i campi. Nello stesso discorso dirà: “Compagni, non può esserci una vera rivoluzione sociale fino a che la donna non sarà liberata”. Il 22 settembre 1985 propone un cambio di ruoli, da ripetere ogni anno, in cui invita gli uomini ad andare a fare la spesa al posto delle donne per far capire la loro difficoltà a comprare il cibo con i pochi soldi a loro disposizione, una pratica che verrà poi smantellata alla morte di Sankara.

Missione sanità
Sankara diede priorità anche la questione sanitaria. Fu il primo governante africano a dichiarare che l’AIDS era la più grande minaccia per l’Africa e fece costruire presidi sanitari in moltissimi villaggi grazie alla campagna “Un Villaggio, Un Presidio Sanitario”. L’UNICEF definì la campagna di vaccinazione per i bambini da lui promossa la più grande registrata al mondo.

Limiti di un sogno
Con tutti questi progetti, capiamo chiaramente che quella di Sankara è stata in sé e per sé una vera “rivoluzione”. Ma, come tutte le rivoluzioni, non mancarono errori o eccessi che contribuirono a diminuire il suo impatto positivo e condussero, per certi versi, all’eleminazione del suo leader. Thomas Sankara era un intellettuale, cosciente della meta da raggiugere. Se però la sua integrità e il suo impegno sono raramente messi in discussione, Sankara è stato criticato per aver voluto cambiare le cose troppo velocemente. Così, dopo l’entusiasmo dei primi momenti, cominciarono presto ad alzarsi delle voci all’interno e al di fuori dell’apparato rivoluzionario contro il ritmo frenetico dei suoi progetti e contro la stessa utopia rivoluzionaria di Sankara.
Voleva una “rivoluzione democratica popolare”, ma una larga parte del popolo burkinabè, analfabeta e radicata nella struttura tradizionale e gerarchica del potere tradizionale, non era pronta a far propria l’utopia sankariana dell’uguaglianza di tutti. Si riproducono, presto, prepotenze e suprusi, tipici di una società ancora fortemente gerarchizzata, abusi che minarono la pace sociale.
Alla fine del 1986 la situazione si era degradata per i malintesi interni alla rivoluzione e le resistenze dei poteri tradizionali alle riforme, soprattutto quelle riguardanti le donne. L’isolamento di Sankara caratterizzò, purtoppo, la fine della sua vita.

La memoria e il futuro
15 ottobre 1987: Sankara muore, per mano assassina, la rivoluzione è sotterrata dopo qualche spasmo di sopravvivenza. Rimangono aperte almeno due grosse questioni che, dopo un quarto di secolo dalla sua morte, meriterebbero di essere ulteriormente approfondite:
1) La rivoluzione sankarista, malgrado il consenso di cui godeva dalla parte della popolazione soppratutto rurale, era veramente democratica e popolare, cioè “a portata del popolo”?
2) Erano necessari tanti sacrifici e sofferenze?
Dopo questo breve excursus vale la pena ritornare al punto di partenza e esattamente alla visione ‘profetica’ di Sankara: riposizionare il baricentro del potere dal singolo e dalle élites alle masse, coinvolgere i contadini, la gente nella presa di coscienza dei problemi, coinvolgerli nella ricerca di soluzioni, alla partecipazione alla vita politica, nella lotta per migliorare la società, nella rivendicazione dei diritti e l’aspirazione a una vita dignitosa. Questi sono i semi che stanno germogliando nelle varie “primavere” degli Stati (per adesso) dell’Africa del Nord e del Medio Oriente. Ora più che mai Sankara è vivo.
Rimane oggi la presa di coscienza cominciata con Sankara, più viva che mai.
Il 20 febbraio 2011, un giovane studente, Justin Zongo, morì a seguito delle torture da parte delle forze dell’ordine. In seguito a questo evento, a prima vista considerato episodio isolato, il Burkina-Faso è scosso da proteste e rivolgimenti popolari di tali intensità da costringere anche il potente presidente Compaoré alla fuga dal suo palazzo presidenziale impaurito dall’ira anche delle sue guardie. In modo simile alle rivolte che hanno scosso molti Paesi arabi, tutto il Burkina è uscito scosso da questi rivolgimenti e manifestazioni popolari i cui slogan sono: la ricerca della giustizia sociale e del diritto per tutti, la lotta contro la corruzione e la difesa dei poveri e deboli contro gli abusi del potere politico.
In queste crisi, che chiamiamo volentieri piccole “rivoluzioni”, vediamo che gli ideali di Sankara, di giustizia, di lotta contro il sottosviluppo, di uguaglianza, ideali per cui Thomas Sankara a suo tempo ha sacrificato la sua vita, sono oggi più vivi che mai.

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