Un punto di incontro
Negli ultimi anni anche in Italia si va lentamente diffondendo, soprattutto tra i soggetti a vario titolo impegnati nel mondo penitenziario, la cultura della giustizia riparativa. Ma che cosa s’intende per giustizia riparativa? Secondo i documenti internazionali, la giustizia riparativa “è il procedimento nel quale la vittima, l’autore di reato e/o altri soggetti o membri della comunità lesi da un reato partecipano attivamente insieme alla risoluzione della questione emersa dall’illecito, spesso con l’aiuto di un terzo equo e imparziale”. Si tratta, dunque, di un’azione che vede coinvolti più soggetti e che presuppone una mediazione tra reo e vittima. Questa mediazione, sempre secondo le definizioni internazionali, “è il procedimento che permette alla vittima e all’autore di reato di partecipare, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivati dal reato, con l’aiuto di un terzo indipendente, il mediatore”.
I percorsi di mediazione e giustizia riparativa si fondano su alcuni valori che, sinteticamente, sono: la centralità della vittima, la confidenzialità delle procedure, la non obbligatorietà dell’intervento, il lavoro in un’ottica riparativa e non punitiva, la professionalità dell’intervento, la puntualità e flessibilità dell’intervento.
I principi guida cui s’ispirano questi processi sono il riconoscimento della vittima, la riparazione dell’offesa nella sua dimensione “globale”, la responsabilizzazione del reo, il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione, il rafforzamento degli standard morali collettivi e, infine, il contenimento dell’allarme sociale. Da questi principi guida derivano alcune azioni che sono collaterali ma per questo non meno importanti e che vanno dalla sensibilizzazione della collettività al miglioramento della qualità della vita in carcere, dal sostegno e accompagnamento nei percorsi di reinserimento ad azioni specifiche per l’esecuzione penale esterna, per l’esecuzione penale minorile, per gli stranieri adulti e minori e, infine, alla formazione congiunta degli operatori.
Se a livello internazionale i riferimenti normativi più importanti sono la Raccomandazione del 1999 del Consiglio d’Europa sulla mediazione in materia penale e la Risoluzione dell’Onu del 2002 che contiene i principi base sulla giustizia riparativa in ambito penale, anche in Italia qualcosa si è mosso nel recente passato. Nel 2002 il ministero della Giustizia ha istituito una Commissione di studio sulla “Mediazione penale e la giustizia riparativa” che nel 2005 ha emanato le Linee di indirizzo sull’applicazione della giustizia riparativa e della mediazione reo/vittima nell’ambito dell’esecuzione penale di condannati adulti.
Nel 2008, lo stesso ministero ha emanato le Linee guida in materia di inclusione sociale a favore di persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità giudiziaria frutto di un intenso lavoro con regioni, enti locali e volontariato. Si tratta di un documento volto a rafforzare le politiche di inclusione sociale rivolte a categorie di cittadini che incontrano maggiori ostacoli nell’esercizio dei diritti come i detenuti, gli ex detenuti, le donne e i minori sottoposti a provvedimenti penali. L’intento è quello di migliorare la qualità della vita in carcere, di sostegno e accompagnamento nei percorsi di reinserimento, di curare la formazione congiunta degli operatori. Si prevede anche un’azione di sensibilizzazione della collettività e delle azioni specifiche per l’esecuzione penale esterna, per l’esecuzione penale minorile, per gli stranieri adulti e minori. In queste ultime due azioni si fa riferimento alla necessità di sensibilizzare la collettività e sperimentare attività di giustizia riparativa e mediazione.
Risarcimento e riparazione
In Italia le pratiche di giustizia riparativa nell’ambito dell’esecuzione della pena sono ancora in via di sperimentazione e tuttavia si possono evidenziare alcuni nodi tematici a partire dal principio che mediazione e riparazione sono nozioni distinte dai concetti di restituzioni e risarcimento del danno previsti dal codice penale e dal codice civile. Le restituzione, infatti, riguardano l’oggetto materiale della condotta criminosa e consistono nella sua consegna (non di un suo equivalente) al legittimo titolare. Le restituzioni comportano, quindi, quando possibile, la reintegrazione e il ripristino del medesimo stato di fatto esistente prima della commissione del reato (ad esempio, la consegna della refurtiva al derubato).
Il risarcimento del danno prevede l’obbligo del pagamento di una somma di denaro quale ristoro della perdita patrimoniale subita (il cosiddetto danno patrimoniale). Il risarcimento del danno, che risponde a significati prettamente civilistici, non è in nessun modo una pena, cioè una risposta dell’ordinamento giuridico dello Stato al fatto criminoso.
È importante questa distinzione in quanto la riparazione non può coincidere, in senso stretto, con il mero risarcimento, con la monetizzazione del danno subìto dalla vittima, né può integrare una modalità sanzionatoria. Realizzabile tramite azioni positive, infatti, la riparazione ha una valenza molto più profonda e, soprattutto, uno spessore etico che la rende ben più complessa del mero risarcimento.
Nell’ottica della giustizia riparativa, per riparazione intendiamo ogni gesto volto a ricostruire positivamente la relazione fra le parti e capace di testimoniare l’avvenuto cambiamento nel rapporto interpersonale tra i soggetti. La riparazione simbolica non può, in ogni caso, rappresentare una misura afflittiva. Senza pretendere che sia necessariamente proporzionato alla gravità del reato, il gesto riparativo deve essere equo, non deve in alcun modo rappresentare il risultato di una “legale vendetta” voluta discrezionalmente dalla parte offesa, ma deve testimoniare, quanto più possibile, l’esito dell’incontro tra le parti affinché possa anche essere oggetto di valutazione ai fini della decisione giudiziale.
La rilettura dell’ordinamento penitenziario nell’ottica della giustizia riparativa ha aperto a una revisione dei compiti degli operatori penitenziari, per recuperare il significato che la legge assegna al loro ruolo in ordine al “diritto” del condannato a ricevere sollecitazioni e l’aiuto per maturare la disponibilità/capacità a intraprendere un percorso trattamentale e riparativo. Vale a dire che tali norme rappresentano un invito rivolto agli operatori per lavorare con il reo anche nella direzione dei temi della giustizia riparativa, superando il concetto di “mera osservazione del comportamento” del condannato, per riconsegnare a quest’ultimo la dignità di soggetto capace di scelte e per ricollocarlo in una prospettiva progettuale nella quale può trovare spazio anche la domanda “come posso riparare?”.
Concretamente, da qualche anno sono in corso alcune sperimentazioni di incontri di mediazione reo/vittima mediante l’intervento di un terzo indipendente rispetto agli operatori deputati al trattamento, su autorizzazione specifica del Ministero attraverso la stipula di convenzioni ad hoc con centri e uffici di mediazione sparsi sul territorio nazionale. Queste attività devono necessariamente conservare le caratteristiche loro proprie legate ai principi di confidenzialità, volontarietà e gratuità degli interventi.
Si è detto che anche la comunità ha un ruolo in tutto questo. La prospettiva riparativa, infatti, non può che nascere a seguito di un processo di responsabilizzazione del reo, della sua adesione al trattamento e della sua assunzione consapevole di una capacità progettuale “verso” le eventuali vittime e/o la collettività. In questa prospettiva è anche la comunità che viene coinvolta quale soggetto che deve sviluppare e incentivare la diffusione di modelli rinnovati di prevenzione del crimine e di informazione sulla prevenzione efficace della criminalità, di modalità di tutela alle vittime, nonché di reinserimento sociale dei delinquenti.
Più in generale, la comunità deve diffondere la cultura della soluzione dei conflitti, e tutte quelle iniziative che possano ridurre e dissipare i pregiudizi, provocare una presa di coscienza da parte di tutta la comunità e produrre un senso di maggiore sicurezza e benessere in tutti i cittadini.