TEOLOGIA

Gesù indignato

Il volto di Gesù è povero. è indignato con il potere economico. E ci propone percorsi di liberazione possibile per i tanti impoveriti di oggi.
Juan José Tamayo

Il movimento degli Indignati non è estraneo al cristianesimo, anzi vi è molto vicino poiché l’indignazione è una delle caratteristiche più importanti della figura del suo fondatore, Gesù di Nazareth. Mi concentrerò sul potere economico, perché è proprio in questo ambito che il conflitto del Nazareno si fa più radicale e senza compromessi nel ritenere che la ricchezza genera povertà, la vera rivale di Dio, e i ricchi, con il loro stile di vita arrogante, dimostrano grande insensibilità nei confronti dei poveri. È per questo che Gesù stabilisce l’incompatibilità totale tra Dio e l’accumulo di beni. Vediamo come si manifesta la sua resistenza e indignazione verso i poteri economici.
Quello di Gesù è uno stile di vita povero, distaccato, itinerante, non legato alla ricchezza. Le tradizioni evangeliche lo ritraggono come una persona priva di stabilità: a) non ha fissa dimora, non possiede una casa stabile e ai suoi più stretti seguaci chiede di lasciare case e fattorie per seguirlo e condividere il suo stile di vita; b) non è legato alla famiglia. È artefice di un cambiamento nella concezione dei rapporti di parentela: questi non si basano su legami di sangue, ma nell’ascolto e nella pratica della parola di Dio e nella possibilità per gli esclusi; c) vive senza possedimenti, non ha soldi in tasca, e così può sfidare il potere economico e rimproverargli la sua condotta sleale; d) rinuncia alla sicurezza personale. Vive senza protezione e si sente indifeso di fronte alle continue aggressioni di cui è oggetto. La mancanza di protezione lo porta all’arresto, alla condanna e all’esecuzione.
Il ricercatore americano John Dominic Crossan presenta Gesù come un contadino ebreo dallo stile di vita tipico dei cinici filosofi greci che annuncia un programma economico rivoluzionario basato su tre principi: egualitarismo religioso ed economico anti-gerarchico, commensalità come banchetto dei poveri e guarigione gratuita. John P. Meier, uno dei massimi esperti del Gesù storico, lo definisce (credo esattamente) “un ebreo marginale”, riferendosi alla sua posizione ai margini della società, il che implica una continua sfida al modello economico dominante.

Nessuna ricchezza
Gesù mostra la sua resistenza al potere economico opponendosi alla ricchezza. Ciò rende particolarmente arduo l’ingresso dei ricchi nel regno dei cieli, cioè la salvezza: “Vi assicuro che è difficile per un ricco entrare nel regno di Dio. Ripeto: è più facile che un cammello attraversi la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio” (Mt 19, 23, Marco 10, 23, Luca 18, 24). Le persone “ricche”, ricordano gli esegeti del Nuovo Testamento Malina e Rohrbaugh commentando questo passaggio, erano considerati ladri o eredi di ladri.
Perché l’indignazione di Gesù di fronte al potere economico?
In primo luogo perché i ricchi si sostituiscono a Dio per l’accumulazione di beni. E ove vige l’attaccamento alla ricchezza e la fiducia nei beni materiali, non vi è alcuna affermazione di Dio né tantomeno fiducia in lui. Il denaro è incompatibile con lo spirito evangelico della povertà. L’avidità è incompatibile con Dio: “Nessuno può servire due padroni: perché odierà uno e amerà l’altro, o sarà fedele a uno e all’altro non farà caso. Non potete servire Dio e allo stesso tempo il denaro” (Lc 16, 13, Mt 6, 24). Dio incarna i valori del regno divino: pace, vita, gioia, servizio, ecc.. Il denaro incarna i valori contrari al regno: egoismo, morte, mancanza di solidarietà, ecc.. L’avidità, che porta all’accumulo di ricchezza, non garantisce la vita. L’idolatria per il giudaismo consisteva nell’adorare il vitello d’oro; per il cristianesimo, nell’adorare l’oro del vitello.
In secondo luogo, perché la ricchezza, qualunque tipo di ricchezza, è ingiusta (Luca parla di “ricchezza disonesta”, 16.9. 11), è uno strumento di dominio e di oppressione che genera povertà. L’attaccamento alla ricchezza è così forte che i ricchi non ascoltano ragioni né divine né umane, come dimostra la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone (Lc 16, 19-31).
Gesù accetta l’impoverimento non per ascesi, né per spirito di sacrificio o perché disprezzi i beni materiali, ma per solidarietà con i poveri e come condizione necessaria per una difesa efficace. E lo fa consapevolmente, in modo libero e attivo. Gesù non è un puritano, non adotta la povertà così com’è canonizzandola come fosse una virtù da praticare. Né è un romantico che ama la povertà e il distacco. Non adotta un atteggiamento conformista di fronte all’esistenza della povertà e dei poveri, come se si trattasse di un fenomeno naturale, un destino o qualcosa di caro a Dio. Protesta contro tutto ciò e lo condanna.

Pratiche di liberazione
La possibilità per i poveri non è solo un divertimento o un presentimento di Gesù, ma una pratica di base. Egli è sempre vicino alle persone e ai gruppi socialmente e religiosamente emarginati, e si trova accanto a loro: pubblicani, peccatori, prostitute, poveri, malati, posseduti, pagani, samaritani, mendicanti, ecc. Dunque, mettendosi dalla loro parte, non si limita a dichiararli figli di Dio e suoi confratelli, ma discute alla radice le cause materiali e religiose che hanno portato alla loro emarginazione e lotta per estirpare tale pratica. L’indignazione nei confronti del potere economico non resta un atteggiamento di dichiarata protesta e ribellione, ma propone un’alternativa: la commensalità, che Crossan definisce come “una strategia per la costruzione o la ricostruzione della comunità contadina su principi radicalmente differenti da quelli di onore e disonore, o di sponsorizzazione e clientelismo. Dovrebbe essere basata sulla partecipazione egualitaria nel potere materiale e spirituale al livello più popolare che si possa immaginare. Per questo, l’apparenza degli indumenti e degli altri accessori avevano un’importanza pari a quella di essere accettati a tavola”.

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