SIRIA

Bufera nel Paese di Simeone

Un Paese martoriato dal conflitto. Tra nuove povertà, sofferenze e scontri armati, nascono iniziative di solidarietà e di riconciliazione interreligiosa.
Hayat Barakat

Ero in Occidente quando le prime notizie flash delle TV, radio e giornali hanno annunciato che un movimento di ribellione era iniziato in Siria, e che, in poco tempo, un bellissimo Paese, che aveva raggiunto una certa stabilità, sembrava catapultato nella bufera di una guerra civile.
Che strano! Il popolo siriano conosceva da vicino, o da lontano, le sofferenze vissute dalla popolazione libanese durante i lunghi anni del conflitto che ha martoriato il Paese fratello. Non era certo estraneo a quello che aveva appena vissuto la Libia, tuttora in ginocchio, o la Tunisia, che sta ancora cercando l’ancora di salvezza, oppure l’Egitto che, forse perché ha un popolo semplice e scherzoso, riesce a coprire all’occhio estero la miseria provocata da mesi di incertezza.
Per settimane, una sola speranza abitava l’anima: ci sarà una soluzione, il conflitto non durerà a lungo, si riuscirà a comprendere che le perdite e le ferite di uno scontro armato hanno bisogno di anni, di generazioni, per rimarginarsi. È vero che certe correnti hanno manifestato, a volte, profonde divergenze; si tratta in genere di intellettuali, giovani, persone di varia estrazione sociale, ma non sono favorevoli alla violenza. Come mai allora si é passati rapidamente da proteste di piazza a scontri armati?

Forte e sicura
La Siria era finora forte e soprattutto sicura. In essa la convivialità e il vivere insieme di gruppi diversi (sunniti, alaouiti, sciiti, drusi, curdi e cristiani) non creavano tensioni; è un Paese nel quale c’è ancora un senso forte di identità che viene prima del confessionalismo. Ora, quel bellissimo crocevia di civilizzazioni e di popoli, ricco di storia di vari secoli, terra santificata dai primi apostoli, capitale della cultura araba, è ormai in guerra con se stessa.
Piano piano, per la popolazione, in non poche località della Siria, la vita si è fatta dura: bombardamenti e scontri, anche se non continui; paura, rincaro dei viveri, difficoltà a reperire il gas; si può uscire di casa, ma il ritmo della vita è rallentato, con posti di blocco temibili. L’angoscia cresce man mano che i conflitti varcano la soglia di una città e che le dichiarazioni internazionali alzano la voce, che le decisioni di sanzioni volendo colpire teste, soffocano il popolo.
Tuttavia, non c’è tempo per analizzare le prese di posizione! Bisogna rimboccarsi le maniche e capire come la solidarietà, la fratellanza, devono essere messe in moto.
Non è cosa facile imbarcarsi in questa avventura: il Paese, la Chiesa non erano preparati a una tale eventualità. Le associazioni, i sindacati, gli organismi di solidarietà non erano abbastanza sviluppati. Il Paese, negli ultimi anni di cosiddetta serenità e prosperità, aveva cercato di garantire al popolo, progressivamente, tutto il necessario.
Come e con chi identificare i bisogni, organizzarsi? Come trovare le persone motivate e preparate ad aiutare chi soffre, senza distinzione, senza interessi di parte?
Le richieste di informazioni piovono addosso. Giornate intere a rispondere al telefono, cercando di orientare in senso costruttivo l’interesse, e di ricordare, a chi vuole sentire, che, per contribuire a fare uscire la Siria da questa voragine di sofferenze, occorre anche guardarla con gli occhi del cuore, lontani dalle folle discussioni sui giochi di potere che fanno spesso da sfondo ad ogni carneficina.

Una rete di solidarietà
È anche necessario creare una rete efficiente di collaborazione che faccia da ponte tra i bisogni e i contributi. Ma questo progetto nasconde molte più difficoltà del previsto.
Nessuno si aspettava che la crisi durasse cosi a lungo. Oggi le conseguenze di questa calamità, provocata dagli uomini, sono innumerevoli: sofferenze dirette, fisiche o morali, ma anche indirette: la gente non sa più cosa sia una vita normale di lavoro, di studio, di famiglia.
Non si conta più il numero dei feriti, o handicappati, degli orfani e delle vedove, di quelle traumatizzate o disperate, sfollate o rifugiate, di chi ha perso il lavoro, oppure di chi ha visto andare in fumo le sue proprietà, fonte di redditi e di dignità.
Nonostante tutto ciò la solidarietà non è morta. Gruppi di volontari si costituiscono attorno alla Chiesa, alle parrocchie, ai religiosi, e ai movimenti ecclesiali per organizzare distribuzioni di generi alimentari. Una volta presa la decisione, reperiti i fondi, stabilito il programma, ecco una nuova sorpresa: la merce manca al mercato oppure i prezzi sono raddoppiati, ecc.. Ma questo non rallenta l’impegno e l’immaginazione supplisce: non importa se manca il tonno, il latte o la carne in scatola, si possono fare razioni di olive, è un prodotto locale, permette di promuovere il commercio locale, ma é anche un alimento ad alto valore nutritivo. Ne vale la pena.
In mezzo a tanto smarrimento colpisce sempre la vitalità della parte giovanile. Così a Damasco con cineforum e incontri cercano di diffondere la cultura della pace e della fratellanza.
Poi arriva l’estate, calda! Da mesi i bambini non hanno più occupazioni: né scuola né attività ricreative. L’ozio, la vita per la strada, sono molto pericolosi: un gruppo di scout con i propri amici si organizzano per animare un centro di attività sportive, culturali e di svago. Qualche centinaio di ragazzi sono cosi al riparo.
Anche chi ha avuto la casa colpita in un attentato o da un proiettile ha bisogno di un sostegno per ripararla o per andare altrove: anche questo va fatto.
Gli ammalati, specie quelli cronici, cominciano a trovare difficoltà per la mancanza di mezzi finanziari e il carovita, fanno fatica a procurarsi i medicinali necessari. Vengono preparate alcune liste per assicurare un aiuto finanziario, provvedere ai casi più urgenti e non interrompere cure vitali.

Un popolo dignitoso
Un collega che vive e opera a Damasco ribadisce: “Il popolo siriano è molto dignitoso. Ci sono voluti mesi di difficoltà di ogni genere, prima che qualcuno cominciasse a guardarsi attorno in cerca di sostegno. Chi si trovava in zone delicate, colpite o pericolose, ha cercato asilo nei villaggi d’intorno, e poi da parenti lontani, prima di tendere la mano chiedendo aiuto. Dopo mesi senza nessuna entrata o reddito, avendo ormai vuotato le tasche e l’esiguo conto in banca, la gente modesta è sull’orlo della miseria”.
Certo in Siria ci sono tuttora dei ricchi commercianti, ma quelli hanno case e proprietà altrove. Chi è rimasto é l’operaio, il professore, il negoziante, l’agente turistico, il commerciante del quartiere, il falegname, il fabbro o l’agricoltore, senza dimenticare gli anziani, le donne, i giovani e i bambini, insomma molta gente delle zone rurali, dove si vive bene finché si è nella propria terra, quella che ti da’ i suoi frutti, ma una volta sradicati, sfollati, tutto si deve pagare.
Tanti cristiani purtroppo manifestano, giorno dopo giorno, lo sgomento di fronte a un futuro oscuro a tutti i livelli: economico, educativo, di sicurezza, che rischia di abbattere gli animi. La tragedia dell’Iraq, molto presente in loro come una temibile prospettiva, la paura del fondamentalismo islamico e l’odio che sta distruggendo il Paese, favoriscono l’idea dell’emigrazione, anche se nessuno la vorrebbe, e questo, lo sappiamo, è una delle conseguenze più negative dei conflitti e dell’instabilità che si vive in M.O.
Questo e altro è la povertà che dilaga oggi nel Paese di Simeone lo stilita.
“Il più difficile è aver perso la fiducia gli uni negli altri”. Vicini che si frequentavano da anni, magari oggi si sono lasciati prendere dall’odio e combattono; le famiglie sono lacerate da figli in campi opposti; si teme di uscire per la strada per paura di essere colpiti, aggrediti. Gli attentati colpiscono quartieri residenziali ma anche luoghi di culto, chiese, ospedali, scuole.
Ora si avvicina l’autunno: nuove difficoltà, e quale futuro? Il perdurare della crisi sembra voler dividere e frazionare il tessuto sociale del Paese, finora appoggiatosi sulla laicità e sull’assenza di discriminazione confessionale.
Ma iniziative valide interconfessionali di riconciliazione “mussalaha” sono in corso, l’ultima verso la fine di settembre, quando un villaggio intero sembrava preso in ostaggio da elementi armati. La pace e la riconciliazione sono il cuore della speranza che abita gli animi e che speriamo sapranno sconfiggere ogni bufera e riportare il sole e il sorriso nella vita di molti.

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