EDITORIALE

Concilio giovane

Luigi Bettazzi (Vescovo emerito di Ivrea e già presidente di Pax Christi Internazionale)

Cari giovani,
non meravigliatevi se vi scrive un quasi novantenne. Ho avuto la fortuna (la grazia!) di partecipare come giovane vescovo al Concilio Vaticano II (la grande Assemblea di tutti i vescovi del mondo, iniziata l’11 ottobre 1962) e sento il compito di richiamarne il valore per la Chiesa cattolica e per il mondo. Mi affido alla vostra comprensione e... fantasia (nell’ultimo libro “Il Concilio, i giovani”, ho dovuto aggiungere, per correttezza, “e popolo di Dio”).
Tra i sedici Documenti espressi da questo Concilio, quattro sono i più rilevanti e si chiamano “Costituzioni”: la prima sulla liturgia (“Sacrosantum Concilium”), una sulla Parola di Dio (“Dei Verbum”), la terza sulla Chiesa in sé (“Lumen gentium”), l’ultima sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (“Gaudium et spes”).
Quest’ultima Costituzione fu una novità imprevista, perché si rivolge non solo ai cristiani, ma “a tutti gli uomini di buona volontà” (come già aveva fatto la grande Enciclica di Giovanni XXIII sulla pace, la “Pacem in terris”). In realtà, essa richiama i grandi valori umani, da quelli della persona alla cultura, dalla famiglia all’economia e alla pace. È vero, puntualizza il compito dei cristiani, che però non è di contrastare i valori umani (che oggi chiameremmo “laici”, non nel senso di antireligiosi ma di profondamente razionali), ma al contrario è di far vedere – anzitutto con la vita vissuta – come la fede non sia in contrasto con la ragione, bensì la illumini e la conforti. Noi anziani eravamo stati portati dalla storia a vedere e a vivere questo contrasto, voi giovani siete chiamati a riflettere, ad approfondire, a viverne invece l’amalgama, cioè a realizzare una vita di fede che alimenti la dignità e la libertà umana e solleciti – contro le sperequazioni e gli sfruttamenti così diffusi – una concreta solidarietà, unica via di pace. È un grande impegno di coerenza cristiana, ma è anche un grande contributo che come cristiani siamo chiamati a dare al mondo, per una vita sociale più chiara, più dignitosa, più legale e soprattutto più solidale, all’interno delle nostre comunità e verso i popoli del mondo che abbiamo impoverito.
A voi giovani si apre l’impegno della responsabilità di vivere e di far vivere lo spirito della comunione all’interno della Chiesa e delle sue comunità, contro il rischio di strutture e modalità, di comando e di esecuzioni, che mirano a efficienze e prestigi puramente umani.
Forse noi anziani ci siamo un po’ spaventati di fronte al cambiamento – di mentalità prima ancora che di gesti – che ci veniva proposto. Eppure, era la grande grazia che lo Spirito offriva alla Chiesa, come una “nuova Pentecoste” ebbe a dire una volta papa Giovanni. E anche l’umanità, anche quella non cristiana, guardava allora con simpatia alla Chiesa, quasi che se quest’ultima fosse cambiata, se avesse guardato più all’amore che alle sue strutture, avrebbe aiutato il mondo a mutare, come poi i giovani del Sessantotto-Sessantonove tentarono di fare (dicevano: “facciamo l’amore, non la guerra”).
Vorrei anche insinuare che l’emozione del popolo milanese (e non solo) per la morte del card. Martini derivasse dal fatto che i cristiani (e anche non cristiani) sentivano che il card. Martini, uomo di Dio ma anche attento alla storia degli uomini, era un ecclesiastico che credeva e viveva il Concilio.
Cari giovani, siate “giovani del Concilio”, rendete “giovane” il Concilio in questo secondo cinquantennio della sua vita.

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