Ero un ragazzo...

Roberto ci racconta la sua vita di adolescente in un campo rom. Tra emarginazione e degrado, esplode la voglia giovane di confrontarsi con lo sport.
E con gli altri. Nasce così Sporting Rom.
Cristina Mattiello

“Ero un ragazzo del campo...”, così comincia il suo racconto, Roberto Hamidovic. In altre parole: “Ero emarginato, isolato”. Vivere in un campo rom vuol dire difficoltà, sotto vari profili, anche a tirarsi fuori dal contesto di degrado in cui si è costretti a vivere. Ogni aspirazione si scontra con enormi ostacoli e gli adolescenti troppo spesso si lasciano andare a una passività che lascia spazio solo a esperienze negative. Roberto poi ha scoperto che lo sport è un veicolo formidabile di riscatto: aiuta a sentire la propria dignità e ad avviare la costruzione di una personalità più solida. E favorisce lo scambio con l’esterno, apre al mondo, avvia un processo di inclusione. Oggi Roberto ha più di trent’anni e si impegna per sostenere progetti di attività sportive per i ragazzi del megacampo di Castel Romano, sulla Pontina, a ovest di Roma. Il primo passo è stata la costituzione di un’associazione di giovani rom, la Sporting Rom, affiliata all’UISP. “Siamo un’associazione sportiva di rom nata quest’anno – ci racconta Roberto – per consentire, ai giovani che vivono nel campo rom di Pontina, di fare sport”. Nel più grande insediamento della capitale, abitano tre comunità rom, complessivamente più di 1.250 persone, tra cui molti adolescenti e ragazzi/e. Nel 2005 furono “sistemati temporaneamente” nel parco di Decima-Malafede - Castel Romano. “Un campo”, prosegue Roberto, “privo di mezzi pubblici, situato in una zona che non ha transito ai pedoni. La prima fermata di autobus è a 7 chilometri da dove abitiamo e, nell’altra direzione, dista 17 chilometri”. Ci sono più di 600 ragazzi e ragazze che non fanno sport e più della metà vorrebbe farlo. Ma non riescono, perché non hanno la possibilità. “Ecco perché”, ci spiega Roberto, “abbiamo costituito l’associazione Sporting Rom che vuole promuovere lo sport di base, la democrazia sportiva e la partecipazione dei giovani rom nello sport, così da riuscire a integrarsi con altri ragazzi nella società italiana”. Sporting Rom ha partecipato all’organizzazione di Vivicittà, la manifestazione podistica dello scorso 15 aprile. “Parte del ricavato è stato destinato all’acquisto di un pulmino a 9 posti per accompagnare i ragazzi a fare attività sportive, visto che sono molti gli impianti sportivi comunali del XII municipio che vogliono ospitarci”. La Sporting Rom ha un altro sogno. Le Olimpiadi della cultura Rom: “Roma è la città dove siamo nati e cresciuti, ma anche la città che da anni ci relega all’interno di campi rom tra assistenzialismo e degrado sociale. La discriminazione e il pregiudizio sono i mali che maggiormente colpiscono la nostra comunità; troppo spesso la percezione che accompagna le persone rom sfocia in comportamenti discriminatori. La conoscenza della nostra cultura faciliterebbe un processo di integrazione”. E le olimpiadi rom, servono per comunicare, per confrontarsi e sfidarsi nelle diverse discipline sportive, rispettando le regole. “Pensiamo di far svolgere questa nostra piccola olimpiade nell’arco di una sola giornata, programmando gare di nuoto, atletica leggera, pallavolo e basket. Alcune istituzioni della capitale hanno aderito all’iniziativa”. Gli atleti proverranno dai campi rom più grandi presenti a Roma e sono rappresentativi di diverse etnie, di differenti culture e tradizioni, ma accomunati da una sola bandiera, da un solo inno che li riunisce: il desiderio di costruire una società migliore.

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