Liberi Nantes
Storie di incontri, relazioni e accoglienza.
Secondo l’UNESCO, lo sport, il gioco, il divertimento sono diritti umani inalienabili, mezzi per la realizzazione personale, efficaci rimedi per la salute e concorrono al perseguimento della felicità.
La UISP (Unione Italiana Sport per tutti) si impegna, da ormai oltre sessant’anni, per lo sport per tutte e tutti in linea con questo principio finalmente riconosciuto anche dalle istituzioni internazionali. Anche l’Unione Europea ha riconosciuto lo sport come strumento di inclusione sociale, educazione e socializzazione per tutti.
Concetto ampiamente ribadito nel Libro bianco sullo sport pubblicato dalla direzione generale Educazione e Cultura dell’UE. Il valore sociale e solidale dello sport è perciò quello che guida le azioni e le attività promosse dalla UISP. Gianluca di Girolami, oggi responsabile della UISP di Roma, è stato il promotore di una bella pagina di questa filosofia e soprattutto ha trasformato in realtà queste aspirazioni. Con alcuni amici ha dato vita nel 2007 ai Liberi Nantes Associazione Sportiva Dilettantistica. La motivazione dell’esistenza dell’associazione si può facilmente dedurre da quel che si legge nel sito (www.liberinantes.org): “Questo popolo di donne, di uomini e di bambini, arriva da noi avendo spesso come unico bagaglio l’ansia della fuga e il dramma del non ritorno. È un popolo che si muove tra terra e mare, lungo le rotte del traffico di esseri umani, un popolo che migra alla ricerca di una terra dove andare, di un luogo dove fermarsi e ricominciare. Rifugiati, Richiedenti Asilo, in due parole migranti forzati, coloro che sono obbligati a partire e ai quali è impedito di tornare.
Queste vite sono vite in continua emergenza, vite senza quotidianità, dove ogni frammento, ogni scheggia di normalità può contribuire a ricostruire altrove, nel nostro caso in Italia, quella vita dignitosa e libera a cui ognuno di noi deve avere diritto e che nei loro Paesi, invece, viene negata. È da qui che abbiamo deciso di partire per ricordare, anzitutto a noi stessi, che ogni popolo, almeno una volta nella propria storia, è dovuto fuggire da qualcosa o da qualcuno e che dare asilo a chi lo chiede è un gesto a cui nessuno dovrebbe sottrarsi, perché segna la differenza tra civiltà e inciviltà”. Il tutto si fonda sulla convinzione che lo sport, nella sua essenza originaria, ha la forza e tutte le capacità per ridurre le distanze e abbattere le barriere. Un’esperienza nata “per dare asilo attraverso lo sport”, convinti come siamo che si può accogliere chi ne ha bisogno anche attraverso un campo di calcio, in una palestra o tra le corsie di una piscina, “perché ritornare a giocare è, per certi versi, ritornare a vivere, davvero.”
Un campo di calcio
Un campo di calcio per migranti che fuggono da guerre e violenze. È una storia che stride con il quadro del calcio professionale italiano dove gli scandali, purtroppo la fanno da protagonisti e dove i guadagni esorbitanti dei calciatori, il malaffare delle scommesse clandestine, il doping sono sotto gli occhi di tutti e sembra quasi impossibile credere a uno sport pulito, riconosciuto come un semplice diritto alla sua pratica, per il benessere fisico e psichico delle persone. Tanto più se a beneficiarne sono migranti e in particolare rifugiati politici e vittime di tortura in cerca di pace. “La Liberi Nantes Football Club 3”, racconta Daniela Conti presidente dell’associazione, nasce “con l’idea di fare qualcosa per i migranti forzati. Siamo tutti appassionati di sport e pensiamo che sia un mezzo fenomenale per creare coesione”. Sono ragazzi e uomini che vivono una vita dal passato drammatico e dal presente pieno di ostacoli e respingimenti, dove l’umanità dell’accoglienza sperimentata attraverso il calcio è una risposta,piccola ma importante, nella vita e nella percezione del mondo che li circonda. Come una parentesi umanizzante in un mondo dove troppo spesso la società italiana mostra il suo volto più duro e chiuso. L’associazione, partendo con pochissimi mezzi, è riuscita a ottenere di utilizzare un campo di calcio in stato di completo abbandono, ma dal passato glorioso, il XXV Aprile appartenuto alla Polisportiva Albarossa. Un campo che, tra gli anni Sessanta e Settanta, ha visto tirare al pallone un calciatore molto particolare: lo scrittore e regista Pierpaolo Pasolini che alle periferie e alle fasce popolari e più deboli delle città ha dedicato la sua attenzione letteraria e cinematografica. Sicuramente questa storia lo avrebbe attratto per il caleidoscopio di storie che racchiude ognuno dei protagonisti della squadra. Dopo aver messo su la squadra formata da rifugiati, nel 2009 questa ha preso parte al campionato di terza categoria. A causa delle leggi che regolano il calcio italiano – anche quello dilettantistico – possono giocare però soltanto come outsider, senza fare punti per la classifica. Infatti, nel caso nessuno dei giocatori risulti di nazionalità italiana questo non è consentito. “Ma a noi va bene così – prosegue la Conti – la squadra si allena due volte a settimana e il campo è aperto a tutti quelli che vogliono partecipare”.
Le donne rifugiate
“La Liberi Nantes ASD”, dice Daniela Conti, “ha come fine statutario quello di promuovere, diffondere e garantire la libertà di accesso all’attività sportiva a quelle donne e a quegli uomini che, per i motivi più differenti, ma sempre e comunque drammatici e laceranti, hanno dovuto lasciare il proprio Paese e i propri affetti, per scappare da qualcosa o da qualcuno che nega loro la dignità di esseri umani e la libertà di poterlo esprimere senza rischiare di subire ritorsioni, traumi e violenze, spesso inaudite”. Le persone coinvolte oggi nelle attività sono più di trecento tra giovani e ragazze. Forte del successo ottenuto con il calcio, l’Associazione ha deciso di dare vita a un nuovo progetto rivolto principalmente alle donne nello status di rifugiate, individuando nel touch rugby la disciplina sportiva più adatta al loro obiettivo. Questo sport, infatti, racchiude in sé i valori forti propri del rugby e permette al tempo stesso la partecipazione a tutti senza limiti di età, genere, condizione fisica o altro. Lo staff di Liberi Nantes ha così riavviato il progetto touch rugby in collaborazione con la Lega Italiana touch rugby, che ha dato il suo supporto e ampia risonanza a tutte le iniziative che la neonata realtà ha affrontato. Chi pratica questa disciplina sa che prima di tutto si tratta di un semplice strumento per avvicinare e far conoscere mondi diversi tra loro e per permettere di lasciare alle spalle, anche solo per qualche ora, i grandi problemi che una vita da migrante porta con sé.
Al calcio e al touch rugby si è aggiunta un’altra disciplina: quella delle escursioni campestri, rivolte in particolare alle donne. Il tentativo del gruppo è quello di lavorare sempre per contribuire a trasformare il rapporto drammatico che molti di questi giovani hanno col proprio corpo, a volte martoriato, violato, torturato, per cercare di liberarli dallo stress accumulato in anni fatti di privazioni e stenti. Le storie delle persone rifugiate coinvolte parlano di questa realtà difficile racchiusa nel loro peregrinare alla ricerca di una vita in pace. Tra loro c’è Saravan, un giovane fuggito dall’Afghanistan. Sul campo riveste il ruolo di centro-mediano inamovibile. Dice che i Liberi Nantes per lui non è solo una squadra, è una vera famiglia. Non è solo sforzo agonistico, ma un’importante possibilità di dedicarsi a se stessi, di ritrovarsi assieme agli altri, liberi da violenze, sopraffazione. La dimensione del gioco è perfino sconosciuta per alcuni di loro. Hanno storie di infanzia negata. Hanno conosciuto maltrattamenti, costrizioni terribili e anche precoci esperienze militari. Tra le donne che partecipano alle attività campestri c’è Princess, rifugiata dal Sud Africa. Racconta che, anche se i suoi problemi di sicuro non scompaiono, fare le escursioni in montagna con Liberi Nantes la aiuta molto. “Ritrovo un equilibrio, mi rassereno e posso contare su amici veri”. Alle attività di touch rugby e camminate campestri specificamente rivolte alle donne hanno finora partecipato una trentina di esse, di cui 15 straniere. Tra queste, alcune rifugiate ospiti della Casa di Giorgia e altre migranti coinvolte con il passaparola tra amiche e amici di diverse comunità. A loro si aggiungono le ragazze della UISP che si allenano e accompagnano l’organizzazione delle attività.
Si può dire che la Liberi Nantes è ormai diventata una realtà consolidata a tutti gli effetti e, nonostante il periodo attuale sia difficile e la crisi colpisca tutti – chi più chi meno a nord come a sud – e sia sempre più faticoso trovare le risorse per sostenere questa esperienza concreta, il gruppo non demorde e si dà da fare per trovare sponsor per ristrutturare il complesso che ospita le attività, per poi farne un centro culturale oltre che sportivo. “Il campo e le nostre attività – conclude Daniela – sono aperti a tutti. Vengono rifugiati, minori non accompagnati da ogni angolo di Roma, e ormai si sono integrati anche ragazzini del quartiere”.
La Liberi Nantes è stata dunque protagonista di una bellissima avventura che dal nulla, grazie alla volontà di un piccolo gruppo di persone, ha visto prendere vita una squadra di calcio interamente composta da giocatori vittime di migrazione forzata; così come l’esperienza costruita con le ragazze e donne rifugiate e migranti con il touch rugby e le camminate campestri. Ma il lavoro svolto è andato ben aldilà dei semplici aspetti di organizzazione di una associazione sportiva. Ad esempio, ha comportato un grandissimo sforzo su tematiche e problemi non comuni, quali l’integrazione tra gli stessi componenti della squadra, i contatti con i centri di soggiorno, il frequente abbandono di coloro che hanno provato i rapporti con le istituzioni, i trasporti dei giocatori e molto altro ancora.
Il futuro è tutto da costruire e sembra che la consapevolezza dell’importanza di partire da sé, dall’impegno individuale per costruire uno spazio, un mondo diverso e libero, tra chi è stato coinvolto in questa storia, sia davvero forte.