CHIESA

Il Concilio oltre la Chiesa

Dossetti e la Costituzione. Prosegue il nostro viaggio tra memoria e futuro, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
Nicola Colaianni (magistrato, docente di diritto canonico all’Università di Bari)

La prima parte del titolo che numerosi gruppi e riviste hanno voluto dare al primo convegno rievocativo dei cinquant’anni trascorsi dall’inizio del Concilio (svoltosi a Roma il 15 settembre 2012, ndr) coglie perfettamente un’ambizione che papa Giovanni trasmise ai padri conciliari e che questi spesso coltivarono: “Chiesa di tutti”. Una Chiesa, cioè, non autoreferenziale, composta solo dai fedeli o comunque – secondo una concezione formalistica più che sacramentale – dai battezzati, separata dal resto dell’umanità: una società, a suo modo, “perfetta”. Ma una Chiesa in cui hanno parte tutti: perché nel corso di venti secoli, come ebbe a dire il Papa nel discorso di apertura del Concilio, la sua dottrina, “nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Patrimonio non da tutti ben accolto, ma pur sempre ricchezza aperta agli uomini di buona volontà”. Quella ricchezza non apparteneva solo ai credenti, era un bene comune, che il Concilio avrebbe dovuto aggiornare perché gettasse semi anche fuori delle mura e della vita ecclesiale propriamente detta. Si comprende così il discorso “della luna”, altrimenti solo carinamente naïf, pronunciato quella sera stessa.
Questa offerta agli uomini di buona volontà viene ripresa non di rado dai padri conciliari: basta pensare al passo della Gaudium et spes, che tratta dell’aiuto che la Chiesa intende dare a ciascun individuo (singulis hominibus). Ma, come il significato del Concilio non può essere colto pienamente solo attraverso i suoi documenti, così, al di là dei documenti prodotti, fu il Concilio come “evento” che soffiò oltre le mura e gettò qua e là, nella società politica, numerosi semi. Del resto, la sincronia degli eventi li alimenta reciprocamente: anche la Chiesa risentì dell’apertura a sinistra della DC o della leadership di Kennedy e Kruscev. E reciprocamente alimentò speranze anche nella società politica. “C’è speranza se questo accade al Who”, era il titolo di un libro con cui il grande maestro Mario Lodi incoraggiava a prendere sul serio la Costituzione nell’insegnamento ai bambini. C’è speranza, analogamente, se “un cristiano va sul trono di Pietro”, come Hannah Arendt intitolò la sua recensione del “Diario dell’anima”.
Naturalmente, come dimostra l’esempio di papa Giovanni o quello dei nostri giorni del card. Martini, dipende dagli uomini di chiesa, o meglio di Dio, favorire questa eterogenesi della politica e della cultura. E non è facile trovarne. Ma credo che una rievocazione del Concilio, che guardi solo a quanto con esso è mutato nella Chiesa o tra i cristiani di ogni denominazione, sarebbe monca. E, per quanto ci sia il rischio di stravaganze nella ricerca di semi del Concilio in vicende lontane, quanto meno nel tempo, vorrei provare con un esempio legato alla mia esperienza.
Il vento
della Costituzione
Com’è noto, il tema della “grande riforma” della Costituzione, ventilato per anni dal presidente del Consiglio Craxi, venne ripreso con forza dal vincitore delle elezioni del 1994, Berlusconi. Si sarebbe trattato di una “Costituzione dei vincitori”, se fosse passata, di una Costituzione che avrebbe costretto la minoranza perdente a starsene quieta fino alle nuove elezioni senza poter difendere l’attacco ai diritti fondamentali. E a incitare alla resistenza fu un padre costituente che, Giuseppe Dossetti, da oltre vent’anni, ormai, aveva abbracciato la vita monacale. Il suo appello fu raccolto da molti cittadini, pensanti e pensosi, senza distinzione di credo: a cominciare dal primo presidente dei “comitati per la Costituzione”, il sindaco di Bologna Vitali, cui succedette Rodotà. In vari convegni – a Milano, a Bari, a Napoli – gli fecero da corona, con i loro interventi, professori e magistrati accorsi anche da altre parti. Un discorso di fondo: la Costituzione non è una legge come le altre, modificabile a maggioranza. È una legge superiore perché contiene un patto con le generazioni future fondato su certi valori e su certi diritti. È la garanzia che, chiunque vinca le elezioni, i diritti fondamentali dei perdenti sarebbero rispettati.

Dalla Costituzione al Vaticano II
C’entra il movimento costituzionalistico con il Concilio? C’entra: non solo con il Concilio, evidentemente, ma, indirettamente, anche con esso, se si guarda alla formazione e all’esperienza della persona attorno alla quale si costituirono e al cui pensiero attinsero quei comitati. Giuseppe Dossetti, infatti, quale perito del card. Lercaro, uno dei quattro moderatori, s’era formato nel Concilio e lo aveva informato con il suo pensiero giuridico, profondamente intriso dal costituzionalismo che egli aveva praticato nell’Assemblea costituente. Si possono individuare almeno un paio di livelli di questa relazione.
Dossetti introdusse nel Concilio il diritto processuale: quello che stabilisce le regole del gioco e l’ordine dei lavori, garantendo così tutti i componenti e le posizioni esistenti nell’assemblea. Fu quando, nella seconda sessione, ci si rese conto che la discussione intorno alla Costituzione sulla Chiesa girava a vuoto e c’era, quindi, il rischio di riproporre puramente e semplicemente il primato pontificio. Dossetti, convinto come disse al p. Chenu che la battaglia principale si svolge sulla procedura (e lì, disse, anche alla Costituente lui aveva vinto), suggerì a Lercaro di far votare preliminarmente su quesiti precisi, prima di continuare la discussione. Com’è noto, il risultato fu schiacciante a favore della maggioranza conciliare. La procedura faceva così il suo ingresso nel Concilio di una chiesa da almeno un secolo disabituata a discutere e a farlo efficacemente secondo regole, che non potevano essere calate dall’alto: come dirà Dossetti in un colloquio con Elia e Scoppola una ventina d’anni dopo, in quella occasione l’ordinaria esperienza assembleare, quella che si svolge in ogni istanza democratica, “capovolse il Concilio”.
In secondo luogo Dossetti contribuì a fare dei diritti umani fondamentali– quelli che la Chiesa negli ultimi due secoli aveva spesso avversato – un tema principale del Concilio: pensiamo alla libertà religiosa o alla pace. Qui, per la verità, egli non ebbe la stessa fortuna, come può desumersi dallo scoramento da lui manifestato in presa diretta, per così dire, nelle lezioni sul Concilio tenute a un cenacolo di amici a Bologna. Discorso giuridicista quello sulla libertà religiosa, limitabile addirittura dall’ordine pubblico secondo la Dignitatis humanae. Discorso inefficace e superficiale quello sulla pace, in cui la Gaudium et spes non colse, non volle cogliere, il messaggio della Pacem in terris sulla guerra “alienum a ratione”: cioè, “roba da matti”, come chioserà successivamente don Tonino Bello.
Proprio questa insufficienza, tuttavia, fu per altro verso fruttuosa: dimostrava che la Chiesa poteva profeticamente rammentare e proclamare i diritti connessi alla dignità umana ma non poteva competere con il costituzionalismo moderno nel delinearne lo statuto. Avventurandosi in questo campo, diventava banale o retrograda: non era la sua missione. Dossetti, suggerendo e almeno in parte scrivendo l’intervento di Lercaro sulla “Chiesa dei poveri”, contribuì a collocare, concettualmente, la Chiesa cattolica in una dimensione altra rispetto ai poteri costituiti, non solo, ma anche alle dottrine dello Stato. Questa acquisizione, sia pure molto parziale, ha delle ricadute certamente non comprese all’epoca e tuttora trascurate: in particolare, ne dovrebbe conseguire il riconoscimento della positivizzazione del diritto naturale, a cui normalmente la Chiesa fa capo per sostenere le sue posizioni, nelle costituzioni. I diritti nativi, fondamentali, inalienabili non sono stabiliti una volta per tutte in rerum natura e, quindi, lasciati all’interpretazione esclusiva di alcuni interpreti autentici, come la Chiesa, ma sono soggetti a una interpretazione pluralistica ed evolutiva, che trova una formulazione positiva nelle Costituzioni.
Fors’anche in modo preterintenzionale, si vuol dire, il Concilio fu percepito come un evento funzionale alla riforma della Chiesa ma, per ciò stesso, capace di dare spazio e respiro agli Stati e al loro diritto, specialmente quando questo si inserisce nel costituzionalismo moderno. Un albero della Chiesa, i cui rami però sporgono oltre la siepe di confine, facendo così cadere i loro frutti sulla strada di tutti.

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