Il caldo autunno spagnolo
32 gradi l’11 settembre a Barcellona, quando due milioni di catalani su 7 milioni e mezzo di abitanti sono scesi in piazza per chiedere la separazione da uno Stato di cui sono netti contribuenti, mentre non hanno di che pagare medici, maestri e funzionari fino a fine anno. Eppure, anche il governo catalano di centro destra ha abbassato le tasse ai redditi alti e ha tolto i maestri in appoggio agli alunni disabili. La richiesta d’indipendenza, partita dall’Assemblea Nazionale Catalana, sorta nell’agosto del 2011, dove la prima commissione creatasi è stata quella delle donne, ha preso in contropiede i partiti – non tutti indipendentisti – e li ha trascinati nella richiesta di un referendum. “Siamo un Paese con una lingua, una storia e una cultura speciale, adesso vogliamo uno stato per decidere del nostro destino”, affermano.
Abuso di forza
A loro volta, il 25 settembre a Madrid, migliaia di persone hanno circondato il Congresso, per ricordare ai politici come si sono allontanati dalla gente; e la polizia, come succede sempre più spesso nelle manifestazioni di protesta, ha caricato in maniera sproporzionata, provocando una sessantina di feriti (tra cui un pacifico anziano di 72 anni), trattenendo 34 persone e liberandole dopo ben 48 ore. L’abuso della forza è, però, stato un boomerang per un poliziotto infiltrato, vestito da manifestante (di quelli che a un certo punto provocano disordini per far degenerare una protesta pacifica), è stato bastonato, in questo caso per errore, dai suoi colleghi. Da parte sua, il Re ha pronunciato un grave discorso alla nazione richiamando genericamente all’unità, e si è precipitato in America a visitare il “New York Times” per cercare di rifarsi un make-up per poter essere accettato a livello internazionale, nonostante gli scandali che hanno screditato la monarchia spagnola, come ad esempio la sua gita in Botswana a caccia di elefanti, o l’uso privato di fondi pubblici di suo genero Undargarin. Ma più che seguire il gioco regale, il giornale ha pubblicato un reportage fotografico di Samuel Aranda su una Spagna depressa, con gente che cerca cibo nella spazzatura, famiglie gettate in strada dalle banche dopo aver perso lavoro e casa, quartieri interi vuoti costruiti nel boom speculativo, e aereoporti, come quello di Castellòn, senza un solo aereo che vi decolli o vi atterri. Immagini crude e dolorose, che ricordano l’America della Grande Depressione, sulle quali il Paese è obbligato a riflettere, dopo gli anni delle vacche grasse di Aznar (il boom immobiliare), dell’ottimismo cieco di Zapatero, quando dichiarava che la Spagna aveva superato Italia e Canada.
E lo stato sociale?
“È necessario tagliare lo stato sociale, non abbiamo alternative”, ha ripetuto come un mantra il primo ministro spagnolo Rajoy, applicando una dura politica di tagli del 22% alla salute, 19% alla cultura e così via. Difficile crederlo quando stipendi e pensioni sono inferiori alla media europea. Non sarà tagliando fondi a una scuola dove già 1/3 degli alunni non riesce a terminare le superiori, che si preparerà un brillante futuro per il Paese. “Gli sprechi vengono da altre parti”, ripetono gli Indignados: da una banca irresponsabile che si é lanciata entusiasta nella speculazione immobiliare e adesso il suo riscatto milionario (100 mila milioni di euro) viene pagato col peggioramento delle condizioni di vita degli spagnoli – destinati a diventare socialmente e culturalmente più vulnerabili – ma non si toccano i responsabili. Altri sprechi vengono dalle amministrazioni locali, spesso in mano a clientele corrotte, e con spese senza controllo. In aggiunta, ecco le “varie ed eventuali”, come la richiesta di 40 milioni di euro in compensazione per cessata attività di un’industria che produceva bombe a grappolo, poi proibite dal governo Zapatero. E vedi caso, ne è stato rappresentante l’attuale ministro della Difesa. La Spagna resta la meta preferita degli studenti dell’Erasmus, e continua ad attirare 40 milioni di turisti l’anno, con il calore della sua gente, la bellezza di paesaggi e città. Ma il fantasma della Grecia aleggia sull’intero Mediterraneo. Quanto c’è di simile e di diverso, nei pregi e nei difetti, fra i Paesi dell’Olivo? Vien da pensare. Esiste il rischio, purtroppo, come sottolinea Federico Rampini, che si approfondisca il solco tra l’Europa del nord operoso e produttivo, abituato a un maggiore rigore amministrativo, e un sud Europa che ha tollerato l’evasione fiscale e la cialtroneria politica. Per questo tocca ai cittadini, assopiti dagli anni di un benessere dato per scontato (come “l’idiozia felicitosa”, diffusa dal Pifferaio Magico dell’ultimo ventennio, scissa dall’etica e dal senso del bene comune), riprendere protagonismo ed esigere trasparenza nei conti pubblici, lottare contro l’evasione fiscale e allo stesso tempo difendere strenuamente il modello di vita civile sognato dai fondatori dell’Europa unita. Perchè il diritto all’educazione pubblica di qualità, alla salute e a un lavoro dignitoso per tutti, non è un optional, ma l’essenza stessa della nostra civiltà.