I due cristianesimi
Il titolo del nuovo libro di Antonio Thellung (I due cristianesimi, ed. La Meridiana, Molfetta 2012, pp. 155) può sorprendere, e forse irritare, perché, se è vero che il riferimento a Cristo è unico, è altrettanto vero che i modi teorici e pratici nei quali si incarna sono tanti, come ognuno sa.
La storia ci offre tanti modelli di cristianesimo.
Ma l’intento dell’autore si fa subito chiaro fin dalle prime righe, quando – per togliere ogni ambiguità – scrive: “Lo stesso termine cristianesimo serve, infatti, a indicare due modelli di riferimento… il primo si richiama a quel che Gesù ha detto e fatto… il secondo si riferisce alla cristianità”. Una delle prime citazioni del Vangelo offre la chiave di lettura di questo agile libretto che si legge tutto d’un fiato. Sono le parole di Gesù riportate da Matteo (20, 25-26): “I capi delle Nazioni dominano su di esse… colui che vorrà diventare grande si farà vostro servo”.
Purtroppo, le autorità cristiane, dopo i primi due secoli, hanno abbandonato la fedeltà a Cristo e, dopo l’editto costantiniano del 313, hanno fatto proprio un modello imperialistico, organizzandosi secondo schemi gerarchici tipici di chi esercita il dominio su popoli e persone.
Il prevalere di questo secondo modello è analizzato lungo tutto l’arco della storia di questi duemila anni attraverso le affermazioni dei Concili e dei Papi, in una carrellata impressionante di fatti e misfatti dell’autoritarismo ecclesiatico, che si è sempre opposto alle voci e agli esempi di quanti intendevano rimanere fedeli alla parola evangelica, dagli eremiti ai monaci; dai mendicanti, come Francesco, a Rosmini e – ai giorni nostri – ai preti operai e ai teologi della liberazione e ai cristiani adulti. Luci e ombre si sono alternate lungo la storia, e come ben evidenzia Thellung, sono proprio le prime che mettono maggiormente in risalto le seconde.
Direi che, con questo scritto, l’autore completa un trittico significativo, avendo egli già dato alle stampe due libri dal titolo emblematico: “Elogio del dissenso” e “Con la Chiesa oltre la Chiesa”.
Interessante in questo senso l’ultima parte del nostro libro, quando si analizzano i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che alternano alcune aperture alla repressione delle nuove ricerche teologiche e prassi delle comunità di base.
Per fare solo un esempio, l’autore richiama un passo dell’enciclica Deus caritas est del Papa ‘regnante’ – come purtroppo ancora si dice – dove si parla in termini positivi dell’amore erotico, come estasi, come cammino come esodo dall’io chiuso in se stesso nel dono di sé per la felicità dell’altro. Come si concilia questo atteggiamento, che finalmente contraddice il misogenismo di S. Agostino, con la dichiarazione della Dominus Jesus, che frena tutto il movimento ecumenico e sembra riproporre la dottrina che non c’è salvezza fuori della Chiesa cattolica romana?
Permane, dunque, un tratto imperiale nella monarchia assoluta del Papa, che non si apre alla collegialità episcopale e che non rispetta le coscienze dei laici cristiani. Ecco, però, che proprio da qui sorge nell’autore la viva speranza – alimentata da alcune affermazioni del Concilio Vaticano II – della nascita di una Chiesa delle coscienze, che superi definitivamente il modello imperialistico e si apra ad accogliere effettivamente nelle opere di ogni giorno il messaggio evangelico di Gesù.