Quello strano intreccio
In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave”. E, sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
E il bene comune?
Non so se qualcuno ricorda il Report televisivo in cui Alberto Nerazzini (giornalista dell’équipe Gabanelli) ripercorreva la storia del Presidente (da 17 anni) della regione Lombardia Roberto Formigoni. Oltre al singolo personaggio –- nella cui lista è stata eletta Nicole Minetti, nota per essersi segnalata in funzioni non propriamente amministrative – la trasmissione portava l’attenzione su CL, l’Opus Dei, il San Raffaele e anche del partito di appartenenza del ciellino Formigoni, il PdL. Comparivano anche i memores Domini, gruppo interno di CL di cui il Celeste è sodale e che si vanta di essere un’élite laicale che sceglie vita comunitaria e pronuncia i voti di povertà, castità, obbedienza. Loro assistente è don Juliàn Carròn, autore di una poco opportuna lettera di contestazione dei “trent’anni (ovvio riferimento ai cardinali Martini e Tettamanzi) di rottura della tradizione ambrosiana di profonda unità tra fede e vita”. I memores Domini come Formigoni (e come un paio di adepti ascoltati nella trasmissione di cui il tacere è bello perché uno parlava intercalando termini di uso televisivo comune non propriamente casti, mentre l’altro non riusciva a capire la differenza tra voto di povertà e uso del denaro) non si sa bene di quale Signore facciano memoria, nonostante i voti pronunciati. Anche se il “bene comune” deve essere tenuto in primo piano da laici e credenti soprattutto se politici e amministratori e anche se –- purtroppo – da molto tempo proprio laici e credenti approfittano della loro responsabilità civile, non avremmo voluto sapere che l’effettiva eccellenza del San Raffaele era destinata al fallimento da malversazioni e suicidi, che Piero Daccò è stato condannato a dieci anni, che Formigoni, insieme ad Angelo Scola, ha fatto “formazione” a Berlusconi, Dell’Utri e Confalonieri.
A braccetto
col potere
Fin qui episodi scandalistici – peraltro senza alcun querelante – relativi a grosse organizzazioni cattoliche di cui si stanno occupando magistrati e moralisti. Resta la compromissione della Chiesa, non nuova a rapporti poco evangelici con i poteri. Anche perché è potere essa stessa da quando Teodosio inventò la religione di stato. Non per tirare in ballo sempre il Vaticano II, ma Giovanni XXIII, che conosceva bene la sua curia, indicava la speranza dei segni dei tempi, a partire dalla sconfitta dello Stato Pontificio nel 1870 che era stata una liberazione. E auspicava, comunque, una laicità e una libertà religiosa che avrebbero contribuito non alla fine della tradizione cattolica, ma alla rinuncia dei compromessi con poteri che, desiderosi di benedizioni ecclesiastiche, l’avrebbero asservita.
è una pena – perfino per quei “laicisti” che si interessano di spiritualità – che chi ha fede venga a conoscenza di avvenimenti vaticani quali una fuga di notizie seguita da denunce e tribunali, imprudenze di cardinali legati ai salesiani, scandali finanziari nel sistema ospedaliero dei Figli dell’Immacolata, del San Carlo di Nancy e di Villa Paola (non bastava il crac di un miliardo di euro del San Raffaele) o in appalti riconducibili a personaggi tipo Anemone e Balducci e a conti correnti dello Ior. Può consolare che mons. Carlo Maria Viganò, segretario del Governatorato, abbia denunciato al Papa gli sprechi e le operazioni dubbie o che Benedetto XVI abbia istituito un’Autorità di Informazione Finanziaria con pieni poteri di controllo sui movimenti dello Ior e delle amministrazioni vaticane; ma destano ulteriori preoccupazioni il trasferimento di mons.Viganò come nunzio a Washington e la destituzione del direttore della banca vaticana Gotti Tedeschi, che verificava i “conti esterni” dello Ior e si era rivolto alla società di revisione internazionale Deloitte per un controllo dei movimenti bancari.
Oggi i poteri chiamati “forti” costituiscono un intreccio complesso la cui trama risulta poco individuabile.
Alleanze e complicità
Il nuovo capitalismo è un mercato competitivo in cui si formano alleanze sempre più grandi fra interessi sempre più rilevanti, ma che è sostanzialmente quasi virtuale: la merce numero uno è lo stesso denaro, che corre su rete perseguendo la crescita della ricchezza a danno dei più deboli, sia individui, sia Paesi. Come mostra l’invenzione della agenzie di rating che, non si sa in virtù di quale norma, bocciano o promuovono i governi. La globalizzazione ha prodotto compattamento di grandi interessi transnazionali, ma anche nuova e diversa frammentazione dei vecchi poteri all’interno degli Stati: banche, società private, istituzioni, enti, associazioni insidiano i diritti sostenendo il principio del successo e corrompendo l’area del pubblico (nelle elezioni americane Romney sosteneva che la riforma sanitaria e la limitazione del mercato era “puro socialismo”).
È ovvio che nulla si regge senza mercati e senza denaro, ma ci rendiamo sempre più conto del beneficio che ci viene dal non aver accettato di devolvere a chi aveva meno di noi al tempo delle vacche grasse quei miliardi che oggi bruciamo nella crisi. Chi fa politica (ma tutti la facciamo, perché tutte le persone che oggi screditiamo sono state elette da noi) ha la fatica di dover dimostrare che non tutti sono così; ma chi ha una fede ha il compito di testimoniare. Il Dio di Gesù non è un Dio che non chiede, ma dà a tutti. Ed è un non senso, dopo aver assistito al crollo di un partito demo-cristiano, rivendicare anche in seno a coalizioni pluralistiche riserve che non iniziano dai diritti di tutti, a partire dalle minoranze.
Occorre distinguere il diritto della Chiesa a esprimersi nella libertà dallo Stato-città del Vaticano. È la Chiesa o il Vaticano che ha una banca, riceve dallo Stato italiano l’8x1000 (mentre i fedeli pagano volontariamente una tassa alla propria Chiesa in Germania, dove la Conferenza episcopale giudica non più cattolici – ed esclude dai sacramenti – chi non contribuisce), non paga le tasse anche per iniziative senza fini di lucro che altri istituti pagano provocando la sanzione dell’Europa al governo? Se le Chiese si vuotano, è tutta colpa della secolarizzazione?