EDITORIALE

Ripartiamo

La redazione

Si chiude il 2012. Tempo di bilanci su un anno non comune per insidie e problemi. Si guarda avanti. Si parla di ripresa, di ripartire. Sì, ma da dove? Qualcuno dice ‘prima il lavoro”, per poi destituirlo di ogni dignità, nei fatti e nelle proposte legislative. Altri sostengono che bisogna partire dallo spread, dalla finanza, dagli investimenti senza condizioni, dai tagli. Interessante ricordare quanto scrivevano i vescovi italiani: “…innanzitutto, bisogna decidere di ripartire dagli ‘ultimi’, che sono il segno drammatico della crisi attuale. Fino a quando non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo le premesse necessarie a un nuovo cambiamento sociale. Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente tuttora priva dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione. Perché cresce ancora la folla di “nuovi poveri”? Le situazioni accennate devono entrare nel quadro dei programmi delle amministrazioni civiche, delle forze politiche e sociali che, garantendo spazio alla libera iniziativa e valorizzando i corpi intermedi, coinvolgano la responsabilità dell’intero Paese sulle nuove necessità”.
Sembrano parole scritte per la crisi di oggi. Invece risalgono al 23 ottobre 1981 e sono contenute nel documento della CEI (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese). Anche la Chiesa oggi rischia di farsi distrarre, nonostante la crisi di sistema sia una delle peggiori che la storia registri, non solo in Italia. Le forze politiche sono in altre faccende affaccendate, non solo per le diffuse e reiterate ruberie e corruzioni, purtroppo trasversali. Ai decisori politici poco interessa la vita o la morte delle persone. Temi come le condizioni della scuola o degli ospedali, le violenze sulle donne o su rom e omosessuali, i licenziamenti indiscriminati, le crisi internazionali, sfiorano solo di striscio l’agenda politica. Solo il mercato delle armi va a gonfie vele. Nel rumoroso silenzio dei media, e di gran parte delle forze politiche, in tre anni, come denuncia la Rete Italiana per il Disarmo “il ministero della Difesa aumenterà del 5,3% le proprie risorse, pari a più di un miliardo di euro. L’aumento è superiore ai tagli previsti dalla spending review per il ministero”.
Invece di investire nella salvaguardia del nostro Paese: ambiente, cultura, lavoro, salute… democrazia, si sceglie di continuare a investire sui caccia F35 (con uno solo di questi aerei si possono comperare 650 apparecchiature per la TAC!). Poche settimane fa la Commissione Difesa, con un’invidiabile tempistica che lascia spazio esclusivo alla efficienza tecnocratica, ha discusso in sole 8 ore e 40 minuti la legge di riforma delle forze armate. Una giornata di lavoro, per fare una riforma trascurata negli ultimi 20 anni. Fallimento della politica o facile guizzo della potente lobby del complesso militare e industriale, in tempi di democrazia sospesa e di governo “tecnico”?
Del resto, sembrano lontani anche i tempi delle grande mobilitazioni contro la guerra, degli oltre 3 milioni di persone in piazza il 15 febbraio 2003 contro l’intervento in Iraq, un vero popolo della pace definito da qualcuno “terza potenza mondiale”. Certo sono cambiati i contesti. Resta il fatto che se non si riparte da politiche della pace e dei diritti, non c’è orizzonte di dignità e di vita per la comunità umana. Se non interrompiamo la spirale di crescente violenza strutturale nei confronti delle persone e del pianeta – su questo ci mette in guardia anche la Banca Mondiale – non avremo futuro.
Ripartire, quindi. Come? Forse non solo o non necessariamente dalle piazze. Da politiche nuove, diverse. Dal chiedere il riconoscimento dei diritti di tutti. Da una Chiesa più attenta ai segni dei tempi. Dal denudare il re. Dallo svelare connivenze tra poteri forti. Dall’alzare la voce quando serve. Dal riprendere a camminare in ogni caso. Come membri consapevoli di una Chiesa viva, come si augurava, 20 anni fa, don Tonino Bello, a Sarajevo, nella città assediata da mesi: “…queste forme di utopia, di sogno dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi, terra nuova, aria nuova, mondi nuovi, tempi nuovi”.
Buon 2013!

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