Lettera aperta a Valter Cicalò
Caro Valter,
ti scrivo una lettera non per fare della retorica ma perché negli ultimi due mesi avevamo avviato un dialogo che non vorrei che rimanesse interrotto. Sei tornato dal silenzio, come capitava spesso. Ti facevi sentire per qualche giorno e poi sparivi per alcuni mesi. Era il tuo modo di essere presente nell’assenza.
Alla fine di ottobre sei apparso improvvisamente con un messaggio in cui mi chiedevi un contatto con la filosofa ungherese Àgnes Heller: «Ho letto il libro che avete scritto – mi dicevi - vorrei conoscerla, vorrei saperne di più sul governo Nagy del 1956 e sulla partecipazione di Lukàcs come ministro della cultura. Ho in mente di fare un viaggio a Budapest nella prossima primavera. Se potessi incontrarla te ne sarei grato».
Non mi stupì più di tanto questo tuo interesse alle vicende ungheresi degli anni Cinquanta e Sessanta. So benissimo che avevi una cultura vastissima, piena di riferimenti storici, sociologici, politici. Quante volte ci siamo trovati a discutere sui movimenti sociali dell’America Latina o sui protagonisti delle lotte per la liberazione africana. Ogni tanto mi spiazzavi citandomi il poeta e politico senegalese Leopold Sédar Senghor, oppure parlandomi di Frantz Fanon e dell’importanza che ebbe il suo libro I dannati della terra per una comprensione nuova dei problemi legati alla decolonizzazione africana. Stavamo bene a immaginare gli ideali che muovevano i piedi dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero nella lotta contro la dittatura salvadoregna, oppure Gandhi e la sua utopia di una nonviolenza attiva. Eri disgustato dalla politica (ci sei passato in mezzo e l’hai anche praticata) ma non hai mai perso di vista l’ ideale di una politica con la p maiuscola come ce la spiegava Raniero La Valle quando ci diceva che la politica “o è pace o non è politica”. So che ultimamente ti eri interessato all’Oriente viaggiando nei Paesi del silenzio, dell’ascolto, dell’armonia (i paesi dell’orecchio come li abbiamo definiti un giorno scherzando). Forse in Vietnam ti è capitato di conoscere la spiritualità di Thich Nhat Hanh e la sua pratica zen impastata con i grandi problemi della storia. Non è un caso che questo monaco minuto sia stato proposto al Nobel per la Pace da Martin Luther King, un altro mito delle nostre chiacchierate.
Il dialogo sull’Ungheria e sulla Heller è proseguito. Il 30 ottobre ci eravamo dati appuntamento a Genova alla cerimonia del premio internazionale Primo Levi che quest’anno è andato proprio a questa grande pensatrice. Alla fine né tu né io siamo riusciti ad andarci. Mi hai scritto un altro messaggio in cui mi facevi capire che l’amore per la Thailandia ti chiamava a Milano. Però insistevi col chiedermi l’indirizzo della Heller. Non so come sia andata a finire. Se le hai scritto, se lei ti ha risposto. So solo che pochi giorni dopo quel silenzio che ha scandito da sempre il nostro rapporto è diventato un silenzio opaco, ruvido, triste, angosciante. La tua assenza non contemplava più la presenza. Ero a Pisa quando mi dissero quello che ti era successo. Stavo citando una frase di don Tonino Bello, che sicuramente ti sarebbe piaciuta: «Il Vangelo è così chiaro sulla nonviolenza attiva che non si possono operare sconti sul prezzo del paradosso». Stavo parlando in un convegno sulla pace a partire dal Vaticano II. Mi arrivò un messaggio sul cellulare. Sentivo che qualcosa dentro di me si era come rotto, spezzato, frantumato per sempre.
Ricordi quanto ci piaceva don Tonino? Tu avevi iniziato molto prima di me a seguire le parole di questo vescovo che sembrava così distante dalle strutture istituzionali e dalle formule di linguaggio curiale. Un vescovo che prestava la sua camera ai barboni, che invitava i piloti dei cacciabombardieri in azione sull’Iraq a fare obiezione di coscienza, un vescovo che, pure malato terminale di cancro, si mise alla testa di una carovana di cinquecento pacifisti per sfidare i cecchini serbi posizionati sulle colline di Sarajevo. C’eri anche tu in quella bella e al tempo stesso drammatica marcia della pace dell’ultimo dell’anno a Bolzano quando don Tonino lesse, insieme ad Alexander Langer e a monsignor Luigi Bettazzi, un appello appassionato per scongiurare l’azione militare in Iraq. Non è molto che ti incontrai e che commentammo insieme la tragedia di quella guerra e la desolazione di un Paese ridotto a cumuli di macerie, dove la vita non conta più nulla e dove la grande cultura babilonese altro non è che un retaggio storico ricordato nei manuali. Quante iniziative in quegli anni Novanta. Tu sei stato uno dei punti di riferimento di Pax Christi, non solo a livello locale ma anche a livello nazionale. Insieme abbiamo organizzato la route internazionale, abbiamo fatto conoscere i problemi della nostra terra ma anche le piccole e grandi esperienze di pace, di diritti umani, di integrazione pluriculturale. Abbiamo fatto conoscere la storia di Franz Thaler e quella di Josef Mayr-Nusser ad un pubblico più ampio.
C’eri anche dieci anni fa, quando abbiamo fatto nascere il centro per la pace. Ti abbiamo chiesto di fare il presidente. Hai accettato. Lo hai fatto, finché hai potuto, con senso di responsabilità e con entusiasmo. Poi non riuscivi più a starci dietro. Il lavoro ti assorbiva troppo tempo. Hai cominciato a viaggiare, a spalancare porte e finestre al mondo intero. Hai accarezzato la storia guardandola dalla prospettiva degli ultimi, dei contadini, dei piccoli, dei poveri. Sei sempre stato fedele all’idea che la pace si costruisce con la relazione. Anche quando ti rintanavi da solo, a casa e sparivi per alcuni mesi, mantenevi sempre aperti gli spazi della relazione. Ecco perché la tua assenza non ci ha mai preoccupato più di tanto. Sapevamo che c’eri.
Quando mi hanno dato la notizia della tua morte mi sono voltato all’Oriente. Ho riletto la lettera che Panikkar scrisse per la morte dell’amico Ernesto Balducci (anche lui faceva parte del nostro orizzonte profetico: «Oggi piango dinnanzi alla tua vita, non piango la tua morte. Piango la tua vita perché così posso vederla in profondità».
In fondo l’ho sempre saputo. Tu eri fatto per il cielo. Buona traversata amico di pace. Il cuore piange perché vive.