17 gennaio 1991: scoppia la guerra, vola la borsa
La Tv ha ancora un peso nell’informazione e nella formazione dell’opinione pubblica? Chi non è più giovanissimo ricorda certamente quella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991: per la prima volta c’era una guerra in diretta tv. L’inizio della prima guerra del Golfo, con i bombardamenti su Baghdad, il cielo illuminato di verde, la frenesia degli inviati, a partire da Peter Arnett della CNN. Un anno fa, sempre in questa rubrica scrivevo: “ Se si cerca su Google ‘borsa 17 gennaio 1991’ si possono vedere alcuni servizi del Tg2: “Primo giorno della guerra del Golfo. Come in tutto il mondo, anche in Italia sale la borsa: Milano +4,7%. Le Borse hanno detto sì a questa operazione militare”. Sì, ma i morti? Le persone colpite dai missili all’uranio impoverito o al fosforo bianco? Quanti sono? Dove sono? Cosa dicono i loro cari? Qualcuno li ha intervistati? La risposta è scontata: “Dai siamo seri! Non facciamo domande di questo genere. Dobbiamo guardare ai nostri interessi, allo Spreed., agli affari e alla tecnologia. E ben vengano anche gli F35, con tanta tecnologia e posti di lavoro”. Il gelo di questi giorni sembra percorrere anche il sangue delle nostre vene, e speriamo non anche la nostra coscienza.”
E oggi?
Prima di tutto non dimentichiamo le tante vittime, sbrigativamente cancellate dalla memoria o chiamate ‘effetti collaterali’, e poi ricordiamo anche chi vive ancora in quella terra dei due fiumi, la patria di Abramo.
Quanti ricordi, nomi, volti di amiche e amici, nostalgie… Un abbraccio a tutti loro perché non si sentano dimenticati!
E poi va fatta qualche considerazione sulla Tv.
Non è vero che conta poco o niente. Le vicende italiane di questi giorni ci devono far pensare.
Una seconda considerazione va fatta sul linguaggio, sempre più di guerra, No, non perché viene dato molto spazio alle varie guerre in Siria, Afghanistan, Mali (dov’è?), Palestina, ecc.. Non vengono trasmessi servizi sui conflitti dimenticati (ce ne sono 388 in corso). No. In un Tg della Rai di l’altra sera, si parlava di guerra, ma il ‘servizio’ era sulle elezioni: ‘fioretto e cannoni, loden e mimetica, guerra e strategia’. Questi alcuni termini usati.
Così ci si abitua alla guerra, quella vera, che non fa più notizia. Non si sta più svegli la notte, come 22 anni fa, ma si rischia di essere ‘arruolati’ almeno nel pensiero.
Se poi dovesse capitare che qualche giornalista, veramente embedded, perché fece il suo ingresso a Baghdad nel 2003 a bordo dei carri armati USA, dovesse dirigere qualche canale del servizio pubblico della Rai, a cui paghiamo il canone in questi giorni… la preoccupazione per un’informazione pubblica ancora più embedded (arruolata) sarebbe più che legittima!
La guerra in tv, oggi come ieri, rischia di diventare un grande spettacolo che alza l’audience (e la Borsa) oppure viene semplicemente dimenticata, cancellata. Vittime comprese.