50 anni di pacem in terris
Cinquanta anni fa nella data di oggi Giovanni XXIII firmava la Pacem in terris. Non era un sorriso ingenuo e ottimista sul mondo. E nemmeno l’omelia domenicale esortativa all'impegno dei cristiani. Non c'erano condanne. Se non per la guerra e per la violenza. Tutto il resto era il respiro della speranza per un mondo rinnovato dall'impegno di ciascuno. A cominciare da coloro che hanno il potere di premere il pulsante che condanna a morte intere popolazioni. Ma anche a coloro che devono custodire e promuovere rapporti di buon vicinato e di prossimità autentica e garantire l’armonia vera delle persone che la vita ha affidato loro. A rileggerle oggi ci si rende conto che quelle parole sembrano scolpite nella storia e nelle coscienze come un impegno solenne. Per questo richiedono un serio esame per capire quanto la comunità cristiana e il mondo si siano inoltrate sul crinale della pace dopo Hiroshima. Senza deleghe ognuno risponda. Senza riserve e giustificazioni ciascuno veda se ha fatto la propria parte. Senza camminare retrovolti, proprio in questa data, ciascuno emetta segretamente il proprio voto di nonviolenza. Con Papa Giovanni siamo persuasi che questo aiuti il mondo a liberarci dalla follia della tentazione atomica, dalle stragi quotidiane che si consumano nei vicoli delle nostre esistenze, dal demonio della violenza che si insinua negli interstizi della vita. E la maniera migliore per ostacolare guerra e violenza non è tanto l'esorcismo del male quanto la costruzione di un mondo nuovo in cui questi non trova casa. Grazie Papa Giovanni per quest'alito di speranza di cui sentiamo ancora la necessità e che continua a sospingere, a reggere e a far crescere una pace dai piedi scalzi che bussa alle porte dei nostri egoismi.