Testimoni di giustizia

17 aprile 2013 - Tonio Dell'Olio

Uomini e donne in carne e ossa che nella loro vita hanno avuto la disavventura di incrociare la criminalità organizzata. Persone che mai avrebbero voluto a che fare con mafie e dintorni. Non sono i pentiti, ovvero i collaboratori di giustizia. Semplicemente sono persone che hanno assistito alla “consumazione” di reati e che non si sono voltati dall’altra parte. Hanno denunciato o testimoniato. Per questo sono in pericolo. A volte in pericolo di vita. Per alcuni di essi si richiede di cambiare identità, trasferirsi in una località segreta, seguire un codice di comportamento molto preciso ed essere sottoposti a protezione. Per quanto ci si sforzi, chi non ha mai avuto un’esperienza di questo genere non può comprenderla. Famiglia, figli, lavoro, relazioni, abitudini... da un momento all’altro tutto viene rivoluzionato. In situazioni di questo genere si ha ancora più bisogno di sentire lo Stato dalla propria parte. Alleati con un vincolo assoluto. E spesso non è così. Si soffre l’abbandono, la distrazione, la superficialità, l’incomprensione... Le situazioni da raccontare sarebbero tantissime. È un terreno delicatissimo che contribuisce a dare o sottrarre fiducia alle istituzioni. Motivi per investire in questa direzione senza riserve, perché se l’esercizio del proprio dovere verso la giustizia si trasforma in un boomerang per la propria esistenza è la peggiore delle propagande contro lo Stato. Ai parlamentari che hanno sicuramente tanto da pensare e proporre in questo primo scorcio di legislatura, suggeriamo di fare più che un pensierino alla legislazione e alla prassi a favore della protezione dei testimoni di giustizia.

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