Venti anni di don Tonino
Il 20 aprile 1993 moriva don Tonino Bello, profeta della pace e interprete fedele della chiesa secondo lo stile del Concilio. Per farne memoria ripropongo alcune sue riflessioni sulla politica. Sono parte dell’editoriale che Mosaico di pace propone nel numero speciale in stampa proprio in questi giorni e che sarà diffuso con il DVD de L’anima attesa, il film realizzato da E. Winspeare per l’occasione.
Il bene comune deve rimanere sempre il fine ultimo della politica. Questo significa due cose. Anzitutto, rifiutare la politica come gestione della cosa pubblica per il bene di una parte. Di una corporazione, di un gruppo di potere o di pressione. “I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune, mai però, è lecito anteporre il proprio interesse al bene comune” (GS, 75). E poi significa mettere al centro la persona, adattandola come misura di ogni impegno, come principio architettonico di ogni scelta, come criterio assiologico supremo. La persona, non il calcolo di parte. La persona, non le astuzie di potere. La persona, non le mosse egemoniche. La persona, non il prestigio delle fazioni. Perdonate il gioco barbaro dei termini con cui si vuol dire che ogni dinamismo espresso nella prassi deve partire dalla contemplazione. È necessario che gli uomini impegnati nell'agire politico, quale che sia il loro credo religioso, siano dei contemplativi, diano spazio al silenzio e all'invocazione, non si lascino distruggere la vita dalla dimensione faccendiera, non si sperperino nella dissolvenza delle manovre di contenimento o di conquista. “Siamo all'alba del terzo millennio – scrive La Pira – e come all'alba del secondo, vanno a fiorire di nuovo i mistici e gli artisti”.
(Molfetta, 22 dicembre 1985, discorso agli operatori politici consiglieri comunali, segretari di partito, dirigenti sindacali).