Recife… e i sogni di dom Hélder

20 giugno 2013 - Renato Sacco

Sentire la parole ‘Recife’ ha smosso in me un insieme di sentimenti, pensieri, ricordi, emozioni, speranze e forse anche nostalgie. Sì, perché Recife non è solo la città dove ha giocato stanotte la nazionale italiana battendo il Giappone 4-3.
È la città che ha avuto come vescovo per quasi 20 anni dom Hélder Camara, morto nel 1999 a 90 anni. Dom Hélder: un testimone e profeta dei nostri tempi. Uomo del Concilio, della ‘scelta preferenziale per i poveri’. Il vescovo delle favelas, che abitava in una umilissima casa. Voce dei poveri, degli oppressi nel Sud del mondo. Piccoletto ma un ‘grande’! Uno che ad ascoltarlo ti si scaldava il cuore e ti veniva davvero la voglia di impegnarti per un mondo diverso, più giusto, più umano. Non si tratteneva nel denunciare il regime militare del suo Paese, il Brasile.
“Nel mio Paese si usa la tortura come tecnica di governo”, disse a Parigi nell’inverno del 1969.
Voleva sicuramente una Chiesa non legata al potere, tanto più il potere della dittatura militare. Alcune sue affermazioni sono forse più ricordate anche dopo tanti anni. “Quando mi occupo dei poveri e li aiuto in qualche modo mi dicono che sono un santo, quando indico le cause della loro povertà e l’oppressione che subiscono dicono che sono un comunista”. L’altra, che ripeteva spesso: “Se uno sogna da solo, il suo rimane un sogno; se il sogno è fatto insieme ad altri, esso è già l’inizio della realtà”. Beh, riconosciamo alla Confederations Cup almeno il merito di averci dato lo spunto per ricordare dom Hélder, e cercare di vedere il mondo come lui ci indicava. Anche altri, in questi giorni in Brasile, stanno a ricordarcelo con manifestazioni e proteste. Ne ha parlato Tonio Dell’Olio qualche giorno fa nel suo Mosaico dei giorni (Brasile la partita fuori dal Maracanà, 18 giugno 2013, http://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/38587.html).
Certo il mondo del calcio fa sognare, ma in altro modo. Fa sognare per i tanti soldi che si guadagnano e anche un po’ perché insegna la furbizia e non sempre la trasparenza e l’onestà.
Il portiere della nostra Nazionale, nel febbraio 2012 dopo la discussione su un gol valido o meno nella partita Juve-Milan ha dichiarato candidamente: “Non me ne sono reso conto e sono onesto nel dire che se me ne fossi reso conto non avrei dato una mano all'arbitro”. Viva la sincerità… ma è lecito e doveroso sognare per noi e per i più giovani un mondo diverso. Dove, ad es. si arrivi a fermare il progetto degli F35, che il ministro Mauro vorrebbe addirittura portare ancora a 131 esemplari, alla modica cifra di 130 milioni l’uno. Dove il sogno non siano solo i soldi e il guadagno! Dove la portaerei Cavour non venga utilizzata per giustificare il viaggio di solidarietà ad Haiti dopo il terremoto, quando invece era stata fatta muovere a 200mila euro al giorno per andare proprio in Brasile, come viaggio commerciale per nuove commesse militari.
Sì, da Recife ci arriva un invito a sognare, a non rassegnarci. Come ci testimonia il ricordo di Daniele Ghillani, giovane volontario italiano in servizio civile all’estero, morto il 16 ottobre a Senador Concedo in Brasile. Daniele è stato premiato alla memoria, lo scorso 2 giugno, a Roma, durante la ‘Festa della Repubblica che ripudia la guerra’ (www.disarmo.org).
Così scrive il papà di Daniele agli organizzatori di quella premiazione del 2 giugno: “... Daniele ha costruito la pace con la sua totale disponibilità al servizio, e anche la sua morte drammatica è scaturita da un gesto di disponibilità verso un compagno di lavoro che gli aveva chiesto un attrezzo. Un gesto ordinario… come quello che ognuno di noi è chiamato a svolgere ogni giorno, ricostruendo rapporti solidali che fanno rinascere il senso di umanità che deve caratterizzare il rispetto della dignità delle persone sotto qualsiasi cielo.
Era un giovane libero e consapevole, cittadino del mondo, un ‘dono’ – gli dicevo – non solo per la sua famiglia ma per l’umanità intera, e nel caso anche per la comunità dei credenti nei quali si riconosceva e di cui faceva parte. La sua eredità, quindi, è per tutti e tutti hanno e avranno sempre diritto di trarne ispirazione ed esempio... siamo anche onorati dall’attenzione di chi come voi, impegnati a promuovere stili e iniziative di pace, si ricorda di lui sapendo cogliere il senso più alto del suo servizio e i valori che ha contribuito a costruire con l'umiltà concreta del suo lavoro quotidiano a fianco dei più giovani e di chi vive nelle difficoltà del riscatto dalle ingiustizie, primo tra tutti quello dell’essere ‘ponte’ tra il nostro e i popoli del mondo sui quali si fondano le reali attese di futuro della nostra comunità!”.

Allora è vero... “se il sogno è fatto insieme ad altri, esso è già l'inizio della realtà”.

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