IL PAPA A LAMPEDUSA

La carne dei rifugiati è la carne di Cristo

10 luglio 2013 - Alex Zanotelli

È molto significativo che papa Francesco abbia scelto come suo primo viaggio apostolico, Lampedusa, posto simbolico per esprimere la sua attenzione agli ultimi, agli impoveriti. “La carne dei rifugiati – aveva detto pochi giorni prima del viaggio – è la carne di Cristo”.
L’isola di Lampedusa è la porta d’entrata in Europa per ‘i disperati dell’Africa’. “La Chiesa compie la propria missione – aveva scritto prima di essere ucciso il vescovo di Oran (Algeria), Pierre Claverie – quando è presente nelle lacerazioni che crocifiggono l’umanità nella carne e nell’unità”.
Papa Francesco ha scelto di essere presente in uno dei luoghi che hanno visto, in questi anni, arrivare migliaia di ‘carrette del mare’, di barconi carichi di uomini e donne alla ricerca di un futuro. Tanti di loro non ce l’hanno fatta! Il giornalista G. Visetti, dopo un prolungato soggiorno a Lampedusa, ha stimato, dal 2002 al 2008, che oltre 42.000 immigrati hanno perso la vita nel ‘Mare nostrum’, diventato ormai il cimitero degli impoveriti. Per loro il Papa ha deposto sulle acque una corona di fiori per ricordare questa immane tragedia che si consuma davanti alla Fortezza Europa, protetta dal Frontex, un’agenzia che ha a disposizione oltre cento milioni di euro all’anno, per impedire ai diseredati di arrivare in Europa.
“Dov’è tuo fratello?” – ha gridato il Papa durante la Messa – la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi”.
È in questo contesto che il Papa ha voluto compiere il suo primo viaggio apostolico per dare corpo al suo motto: “Una Chiesa povera e per i poveri”. Un viaggio questo, semplice, sobrio e povero, alle ‘periferie della vita’. Infatti, il Papa, che è arrivato nell’isola con un aereo di linea, non ha voluto né politici né dignitari né cardinali. Da un altare, posto su una ‘carretta del mare’, con un calice di legno e un pastorale confezionati con il legno dei barconi degli immigrati, Francesco ha gridato: “Sono venuto a Lampedusa per risvegliare le coscienze perché questo non si ripeta più”.
La presenza a Lampedusa del vescovo di Roma, pone pesanti domande all’Italia, all‘Unione Europea, ma anche alla Chiesa che è in Italia.
Perché il popolo italiano ha assistito quasi con indifferenza per anni a quest’mmensa tragedia degli immigrati che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo?
Come ha fatto il popolo italiano (un popolo di migranti con oltre 60 milioni di italiani all’estero!) a tollerare questa strage a mare, senza sentire compassione per tanta sofferenza umana?
Come ha potuto il popolo italiano accettare che per 20 anni i vari governi abbiano cavalcato politicamente l’onda razzista crescente che ha prodotto un “Razzismo di Stato”: la Turco-Napolitano (1988), la Fini-Bossi (2002) e il Pacchetto Sicurezza (2008) di Maroni?
Come ha potuto il popolo italiano accettare che venissero costruiti sul nostro territorio ben 13 Centri di Identificazione e Espulsione (CIE), autentici lager dove rinchiudere, come animali in gabbia, così tanti immigrati?
Come ha potuto il popolo italiano trattare così male i 20.000 rifugiati della guerra di Libia, la cosiddetta Emergenza Nordafrica del 2011?
Papa Francesco, a Lampedusa, ha tentato una risposta: “La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri”. E con forza ha bollato questa “globalizzazione dell’indifferenza”.
Tante anche le domande che papa Francesco rivolge anche all’Unione Europea. Può l’Europa continuare a chiudersi in se stessa, nel suo benessere, davanti a un Mediterraneo in fiamme, a un’Africa subsahariana stremata?
Come può l’Europa definirsi la culla dei diritti umani quando tratta così chi bussa alla sua porta, fuggendo da situazioni disperate?
“Sono venuto a risvegliare le vostre coscienze”, ha detto papa Francesco. Coscienze rinchiuse in “bolle di sapone”! Il Papa ha scelto di andare a Lampedusa, la “Porta dell’Europa” per dire a tutti chi sono i nostri prossimi’ ! “Siamo caduti – ha detto papa Francesco – nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano:guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”.
È una parola forte non solo per l’Italia e per l’Europa, ma soprattutto per la Chiesa in Italia e in Europa. Tante le domande che dobbiamo porci.
Com’è stato possibile che per oltre un decennio la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) sia stata così silenziosa su una così enorme tragedia?
Come mai tanto silenzio anche dalle conferenze episcopali europee?
Come mai tanta prudenza anche da parte di ordini religiosi e congregazioni missionarie?
Quanti di noi religiosi hanno aperto le porte delle loro case, spesso semivuote, per accogliere questi immigrati?
Le domande sono tante per tutti, ma per noi credenti la prima domanda da farci è: “Uomo dove sei”? E non “Dio dove sei?”
Diamoci da fare tutti perché la vita vinca!
Grazie di cuore, papa Francesco!

Napoli,9 luglio 2013

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